Speranze di Pace in Centrafrica dopo gli accordi raggiunti grazie alla Comunità di
Sant'Egidio
Dopo la firma a Bangui del cosiddetto “Patto Repubblicano”, il Centrafrica torna a
sperare nella fine della guerra civile. L’intesa, stilata a Roma nella sede della
Comunità di Sant’Egidio durante i colloqui di pace dello scorso settembre, coinvolge
tutte le forze vive del Paese. Ribadisce, tra l’altro, la necessità di dare sicurezza
ai cittadini attraverso il disarmo delle milizie ed il ritorno alla normale attività
dello Stato; la necessità di garantire il ritorno dei rifugiati interni ed esterni
alle loro case e di aiutare il loro reinserimento. Ma qual è stato il ruolo della
Comunità di Sant’Egidio? Hélène Destombes lo ha chiesto a don Angelo Romano,
membro dell’Ufficio relazioni internazionali della Comunità:
R. – Quello
che noi abbiamo cercato di fare è stato di creare un vero spirito di unità nazionale
attorno al quale pensare il futuro del Paese e impedire la disgregazione dello Stato:
questo è il pericolo che sta vivendo il Centrafrica, quello di una totale disgregazione
delle strutture statali, e questo sarebbe veramente una tragedia. Noi abbiamo creato,
attraverso questo “Patto Repubblicano” preparato a San’Egidio il 6 e il 7 settembre
scorso, un clima e misure concrete, efficaci affinché si possa vivere una vera e profonda
ed efficace collaborazione tra i partiti.
D. – Avete sentito una volontà reale
da tutte e due le parti, di lavorare a favore della pace e della riconciliazione?
R.
– Noi abbiamo sentito, da parte di tutti i rappresentanti del mondo politico, della
società civile, delle religioni che sono venuti a Sant’Egidio a settembre – e bisogna
ricordare che questa crisi è anche un suo elemento importante di convivenza religiosa,
perché è salita molto la tensione tra la comunità cristiana, che è quella maggioritaria
nel Paese, e quella musulmana – una grande gratitudine nei nostri confronti perché
si sentivano un po’ dimenticati. Sentivano che la crisi nel loro Paese veramente non
sembrava interessare nessuno, e questo ha mostrato che c’era un desiderio, nel fondo:
il desiderio di trovare una soluzione. Questa, alla fine, l’abbiamo trovata o almeno
abbiamo iniziato a trovarla. Il “Patto Repubblicano” è un primo passo che vuole costruire
una vera e profonda collaborazione tra le parti.
D. – Molti osservatori sono
piuttosto pessimisti e affermano che i centrafricani e la forza dell’Unione Africana
non hanno i mezzi per far sì che la sicurezza torni nel Paese. C’è bisogno comunque
dell’aiuto della comunità internazionale?
R. – Certamente c’è bisogno dell’aiuto
della comunità internazionale. E’ chiaro che il Paese non può risollevarsi da solo;
ma c’è bisogno anche del contributo dei centrafricani stessi. Noi abbiamo sempre puntato
sul fatto che ogni soluzione, ogni proposta della comunità internazionale debba sempre
incontrare la volontà, la collaborazione, anche l’immaginazione dei protagonisti del
mondo politico centrafricano. E questo credo che sia l’elemento che fa la differenza.
Io ho percepito, da parte della gente, da parte delle persone con cui abbiamo parlato,
una grande gioia alla notizia di questo “Patto Repubblicano” che, in fondo, è una
buona notizia dopo tante cattive notizie. E penso che, da questo punto di vista, ci
sia una risposta ai pessimisti: il problema è che chi è pessimista sembra sempre più
razionale degli altri; in realtà, non è così. C’è bisogno di dare buone notizie alla
popolazione centrafricana, concrete, che possano garantire il fatto che sia possibile
pensare un futuro effettivamente diverso per questo Paese che ha troppo sofferto.
Credo che questo “Patto Repubblicano” dia alcuni strumenti che possono aiutare il
Paese ad uscire da questa crisi.