2013-11-08 14:19:45

La sfida del Burundi, tra sviluppo economico e tensioni sociali


In Burundi, persistono tensioni sociali e politiche e violazioni dei diritti umani. E’ uno dei Paesi più poveri al mondo, ma continua a registrare un’altissima crescita demografica e si distingue in Africa per l’autosufficienza agricola. Può questo piccolo Stato passare da Paese sottosviluppato a Paese emergente? Elvira Ragosta lo ha chiesto ad Angelo Inzoli, specializzato in Teologia e Scienze delle popolazioni e autore del libro “Lo sviluppo economico del Burundi e i suoi attori”, recentemente pubblicato da l’Harmattan:RealAudioMP3

R. - Penso di sì in generale, nel senso che l’Africa ha un potenziale economico incredibile e anche questo piccolo Paese. Chiaramente, però, a condizione che possa risolvere i suoi problemi strutturali.

D. - Nonostante la guerra civile sia finita nel 2006, dal Burundi arrivano notizie di tensioni sociali. Secondo lei, esiste il pericolo che una nuova guerra possa scoppiare?

R. - Purtroppo, in tutte queste regioni la stabilità è sempre relativa. In realtà, la cultura dello scontro politico è ancora molto, molto dipendente in parte dal modello precedente - cioè chi va al potere pensa di diventare il padrone del Paese - e dall’altra il metodo della lotta politica rimane un po’ quello che si è sperimentato durante gli anni della guerra e quindi il nemico politico rischia di diventare un avversario e se io ho delle armi, lo posso eliminare anche fisicamente.

D. - Qual è stato il ruolo delle Chiese cristiane, in particolare di quella cattolica nel periodo coloniale?

R. - La Chiesa cattolica ha avuto un ruolo che possiamo definire in parte di difesa delle popolazioni contro gli abusi delle politiche coloniali. Un ruolo di assistenza delle popolazioni: ai missionari era affidata sostanzialmente la gestione delle scuole, la gestione dei sistemi sanitari e poi anche un ruolo di collaborazione anche con il sistema coloniale, perché ricordiamoci che - ad esempio - l’introduzione della cultura di caffè avviene proprio anche grazie allo sforzo dei missionari.

D. - Dopo la colonizzazione - con la presenza di nuovi attori internazionali, quali la Banca Mondiale - il contributo della Chiesa cattolica è cambiato?

R. - E’ cambiato nel senso che la Chiesa cattolica è diventata anzitutto una Chiesa locale, non più gestita dai missionari. Questo si è realizzato soprattutto in Burundi durante gli anni del regime di Bagaza, che ha praticamente espulso tutti i missionari occidentali. Ciò ha permesso alla Chiesa cattolica burundese di diventare realmente radicata nella cultura e nel territorio. Sicuramente, è una Chiesa che ha dovuto imparare ben presto a funzionare con le proprie risorse.

D. - Tra il 1993 e il 2006, il Burundi ha vissuto una sanguinosa guerra civile tra hutu e tutsi. Disordini ed episodi di banditismo sono continuati fino al 2003, quando venne ucciso il nunzio apostolico Michael Courteney…

R. - L’assassinio del nunzio è stato un episodio ancora in parte oscuro. Sicuramente, è una figura straordinaria. Mons. Courteney si era reso conto che il Paese era squassato da gruppi armati - si calcolavano almeno una quindicina di gruppi ribelli - sostanzialmente dei gruppi hutu, legati quindi alle popolazioni locali, e chiaramente mons. Courteney, con altri vescovi, appoggiava soprattutto la linea di questi vescovi, di quei leader che puntavano su una pacificazione, su un abbassare le tensioni, abbassare i toni. Probabilmente, fu ucciso proprio perché considerato un ostacolo, una figura che si opponeva a dei gruppi troppo radicali, che invece avevano tutti gli interessi a mantenere alta la tensione e il conflitto.

D. - Dopo la guerra civile, il Burundi ha dovuto occuparsi della conta dei morti: sono stati quasi 300 mila e due milioni e mezzo di rifugiati. Qui entrano in azione le ong…

R. - Esattamente. E’ un fenomeno tipico del periodo della guerra e del dopoguerra. Le ong arrivano come forze umanitarie e diventano anche forze che riescono a modernizzare l’attività sociale.







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