Serie di esplosioni in Cina, per il governo probabile matrice terrorista
Sette esplosioni sono avvenute ieri mattina in Cina, poco dopo la mezzanotte ora italiana,
nei pressi della sede del Partito Comunista a Taiyuan, nella provincia nordorientale
cinese dello Shanxi: il bilancio è di un morto e otto feriti. L’episodio segue di
pochi giorni l'attentato suicida di piazza Tiananmen, che aveva provocato cinque morti
e che il governo ha attribuito all’Etim, gruppo separatista uigura della regione autonoma
dello Xinjiang. Sull’ipotesi che dietro alle esplosioni di ieri ci sia la mano dei
terroristi, Adriana Masotti ha sentito Francesco Sisci, corrispondente
da Pechino del quotidiano “Il Sole 24 ore”:
R. – Anzitutto,
si tratta di una serie di esplosioni accadute in un breve lasso di tempo, una serie
di bombe coordinate, quindi un’azione di un gruppo molto organizzato. Le autorità
parlano di attentati attribuibili agli indipendentisti Uiguri della regione nordoccidentale
cinese dello Xinjiang. Si tratta di una minoranza turcofona e islamica. Gli Uiguri
sono stati anche protagonisti di questo attentato suicida a Pechino in Piazza Tienanmen,
qualche giorno fa. Questo fa pensare che dietro ai due fatti ci sia una volontà di
affermare la propria presenza in un momento molto delicato per il Paese, ovvero alla
vigilia di un plenum del partito molto importante.
D. – L’Etim e altri
gruppi terroristici rivendicano l’indipendenza della regione abitata dagli Uiguri.
Ma che possibilità ci sono in Cina che possano esistere queste aspirazioni?
R.
– Certamente, c’è una grande forza nel Xinjiang, che sempre più chiede indipendenza
da Pechino. Credo resterà un sogno il fatto che riescano a essere indipendenti, perché
lo Xinjiang copre quasi un quarto del territorio cinese. Gli Uiguri sono, nello stesso
Xinjiang, meno del 50% della popolazione. In tutto, gli Uiguri sono circa otto milioni
di persone, poco più dello 0,5% dell’intera popolazione cinese. Nessuno Stato riuscirebbe
ad acconsentire a queste forme di indipendenza. Detto questo, il fatto che questi
gruppi protestino in maniera così violenta dimostra fondamentalmente che la politica
di repressione adottata finora da Pechino nello Xinjiang non ha avuto tutto questo
successo.
D. – In Cina le notizie di attentati fanno notizia, destano preoccupazione?
O sono casi molto rari e isolati?
R. – Non sono casi rarissimi, perché in Cina
c’è una tradizione di gente che per i motivi più disparati si fa saltare: la gente
protesta perché la fidanzata lo ha lasciato, oppure per essere stato licenziato… Capita,
da sempre, che la gente si faccia saltare in aria negli autobus, mi ricordo gli anni
Ottanta... Adesso, magari cercano dei luoghi più pubblici come le piazze. Qui siamo
a un livello diverso: questa volta abbiamo sette esplosioni coordinate e questo implica
una certa organizzazione, in una città che non è l’ultima delle province ma è Taiyuan,
a qualche centinaio di chilometri da Pechino, quindi non lontanissimo dalla capitale
cinese. Tra gli Uiguri e gli Han – che è l’etnia della maggioranza del popolo – c’è
un odio molto profondo, e questo ovviamente è un problema. Questo però non credo porterà
Pechino a ritirarsi dallo Xinjiang, anzi. Credo che la repressione contro questi terroristi
uiguri si intensificherà e si andranno a colpire non solo i gruppi veramente terroristici
ma, forse, persone che con il terrorismo non hanno molto a che fare.