Trieste. Conferenza dei vescovi europei su fede e carità. Gli interventi dei cardinali
Sarah e Bagnasco
“Riportare la pastorale della carità alla sua sorgente, per evitare di ridurla ad
una specie di attività di assistenza sociale, una pura espressione filantropica o
una semplice solidarietà umana”. È questo il compito che spetta oggi ai vescovi e
ai delegati responsabili degli interventi caritativi delle Conferenze episcopali in
Europa. A dare la “sterzata” è stato il card. Robert Sarah, presidente del Pontificio
Consiglio “Cor Unum”, che è intervenuto lunedì pomeriggio a Trieste con una lunga
relazione all’incontro promosso dal Ccee su “Testimoniare la fede attraverso la carità”
al quale stanno partecipando una cinquantina di vescovi delegati delle attività caritative
delle Chiese in Europa. “Persiste - denuncia il presidente del 'Cor Unum’ - e non
solo nel mondo occidentale, una secolarizzazione che tende a svuotare la Chiesa della
sua dimensione trascendente. Il resto di questa spoliazione è la riduzione della Chiesa
ad un’agenzia etica, che cioè fornisce valori da applicare nella vita, oppure ad agenzia
di assistenza umanitaria e sociale che si prende cura dei poveri, soprattutto in quelle
situazioni che la mano pubblica non riesce a raggiungere”. Il cardinale chiede di
non “sottovalutare” la portata di questo fenomeno, che dà alla Chiesa “un riconoscimento
pubblico per ciò che fa”, ma “svuotandola di fatto della sua essenza”. “Ciò non significa
- ha detto il card. Sarah - che si prescinde dai dati sociologici, o che non dobbiamo
salutare con favore l’accoglienza che è riservata alla nostra azione sociale. Ma tutto
ciò va riportato ad una lettura di fede che consente di vedere la Chiesa nella sua
integrità”. Un compito dunque imprescindibile devono svolgere al riguardo i vescovi.
“In primo luogo - spiega il cardinale -, si tratta di definire correttamente la natura
dell’attività caritativa, per non trasformarla in intervento di tipo politico, puramente
sociale o umanitario”. “Poi ci dobbiamo porre un quesito fondamentale: quale visione
di uomo vogliamo promuovere attraverso la nostra azione caritativa?”. “E se l’uomo
è chiamato ad una vita di comunione con Dio attraverso la fede, allora è possibile
comprendere che l’azione caritativa deve occupare un posto preminente nel piano di
salvezza di Dio per l’uomo, realizzato mediante la nuova evangelizzazione”. “Pertanto
- ha concluso il card. Sarah -, la pratica della carità si può paragonare ad una predicazione
silenziosa, ma viva ed efficace, una testimonianza del nostro incontro personale ed
intimo con Cristo in maniera da far vedere e incontrare Cristo vedendo noi. Per questo,
quanti praticano la carità debbono essere testimoni credibili di Cristo”. Dal canto
suo il card. Bagnasco nel suo intervento ha detto che “Fede e carità sono unite tra
loro da un nesso inscindibile” che impedisce alla fede di diluirsi in una religiosità
“fatta di culto ma non di giustizia” e alla carità di ridursi a “pratica o sentimento”
o, a dirla secondo l’immagine della Caritas in Veritate, in “un guscio vuoto da riempire
arbitrariamente. Tentazione del nostro tempo - ha detto il presidente della Conferenza
episcopale italiana - è di vivere la fede in modo individualistico, dimenticando la
sua dimensione intrinsecamente ecclesiale. L’opzione per Cristo, associata al rifiuto
per la Chiesa, tocca tante persone che, a causa delle esperienze negative che hanno
vissuto, o più spesso per il desiderio di una maggiore autonomia, non si sentono parte
della comunità dei credenti”. Ma, ha aggiunto, “il ripiegamento nell’individualismo
dissocia la fede dalla carità, presumendo che essa possa prescindere dalla comunione
fraterna e riducendo inesorabilmente la carità a pratica o sentimento”. Oggi i vescovi
e i delegati responsabili delle attività caritative delle Chiese europee riuniti a
Trieste sono andati a pranzo alla mensa dei poveri accompagnati dal direttore della
Caritas di Trieste, don Roberto Pasetti. (R.P.) Ultimo aggiornamento: 6 novembre