2013-11-05 08:36:40

Trieste. Conferenza dei vescovi europei su fede e carità. Gli interventi dei cardinali Sarah e Bagnasco


“Riportare la pastorale della carità alla sua sorgente, per evitare di ridurla ad una specie di attività di assistenza sociale, una pura espressione filantropica o una semplice solidarietà umana”. È questo il compito che spetta oggi ai vescovi e ai delegati responsabili degli interventi caritativi delle Conferenze episcopali in Europa. A dare la “sterzata” è stato il card. Robert Sarah, presidente del Pontificio Consiglio “Cor Unum”, che è intervenuto lunedì pomeriggio a Trieste con una lunga relazione all’incontro promosso dal Ccee su “Testimoniare la fede attraverso la carità” al quale stanno partecipando una cinquantina di vescovi delegati delle attività caritative delle Chiese in Europa. “Persiste - denuncia il presidente del 'Cor Unum’ - e non solo nel mondo occidentale, una secolarizzazione che tende a svuotare la Chiesa della sua dimensione trascendente. Il resto di questa spoliazione è la riduzione della Chiesa ad un’agenzia etica, che cioè fornisce valori da applicare nella vita, oppure ad agenzia di assistenza umanitaria e sociale che si prende cura dei poveri, soprattutto in quelle situazioni che la mano pubblica non riesce a raggiungere”. Il cardinale chiede di non “sottovalutare” la portata di questo fenomeno, che dà alla Chiesa “un riconoscimento pubblico per ciò che fa”, ma “svuotandola di fatto della sua essenza”. “Ciò non significa - ha detto il card. Sarah - che si prescinde dai dati sociologici, o che non dobbiamo salutare con favore l’accoglienza che è riservata alla nostra azione sociale. Ma tutto ciò va riportato ad una lettura di fede che consente di vedere la Chiesa nella sua integrità”. Un compito dunque imprescindibile devono svolgere al riguardo i vescovi. “In primo luogo - spiega il cardinale -, si tratta di definire correttamente la natura dell’attività caritativa, per non trasformarla in intervento di tipo politico, puramente sociale o umanitario”. “Poi ci dobbiamo porre un quesito fondamentale: quale visione di uomo vogliamo promuovere attraverso la nostra azione caritativa?”. “E se l’uomo è chiamato ad una vita di comunione con Dio attraverso la fede, allora è possibile comprendere che l’azione caritativa deve occupare un posto preminente nel piano di salvezza di Dio per l’uomo, realizzato mediante la nuova evangelizzazione”. “Pertanto - ha concluso il card. Sarah -, la pratica della carità si può paragonare ad una predicazione silenziosa, ma viva ed efficace, una testimonianza del nostro incontro personale ed intimo con Cristo in maniera da far vedere e incontrare Cristo vedendo noi. Per questo, quanti praticano la carità debbono essere testimoni credibili di Cristo”. Dal canto suo il card. Bagnasco nel suo intervento ha detto che “Fede e carità sono unite tra loro da un nesso inscindibile” che impedisce alla fede di diluirsi in una religiosità “fatta di culto ma non di giustizia” e alla carità di ridursi a “pratica o sentimento” o, a dirla secondo l’immagine della Caritas in Veritate, in “un guscio vuoto da riempire arbitrariamente. Tentazione del nostro tempo - ha detto il presidente della Conferenza episcopale italiana - è di vivere la fede in modo individualistico, dimenticando la sua dimensione intrinsecamente ecclesiale. L’opzione per Cristo, associata al rifiuto per la Chiesa, tocca tante persone che, a causa delle esperienze negative che hanno vissuto, o più spesso per il desiderio di una maggiore autonomia, non si sentono parte della comunità dei credenti”. Ma, ha aggiunto, “il ripiegamento nell’individualismo dissocia la fede dalla carità, presumendo che essa possa prescindere dalla comunione fraterna e riducendo inesorabilmente la carità a pratica o sentimento”. Oggi i vescovi e i delegati responsabili delle attività caritative delle Chiese europee riuniti a Trieste sono andati a pranzo alla mensa dei poveri accompagnati dal direttore della Caritas di Trieste, don Roberto Pasetti. (R.P.)
Ultimo aggiornamento: 6 novembre







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