2013-11-05 14:01:42

Caritas svizzera sul processo di riconciliazione in Rwanda a 20 anni dal genocidio


A quasi 20 anni dal genocidio in Rwanda, il Paese africano non ha ancora compiuto il necessario lavoro sulla memoria e sull'elaborazione di quella immane tragedia, condizione indispensabile per un’autentica pacificazione nazionale. La denuncia viene dalla Caritas svizzera che, in un comunicato diffuso in questi giorni e ripreso dall’Apic, chiama in causa l’attuale dirigenza ruandese, ma anche la comunità internazionale. Secondo l’organizzazione caritativa cattolica, il bilancio del Governo di Kigali guidato dal Presidente Paul Kagame è ambivalente: se da un lato, è riuscito a rimettere in piedi le infrastrutture distrutte durante lo sterminio, dall’altro, esso continua ad imporre con la forza una versione unilaterale del passato, mettendo a tacere tutte le voci dissenzienti. In questa versione le milizie del Fronte Patriottico Ruandese (Fpr) oggi al governo, sono presentate come forze di liberazione che nel 1994 riuscirono a porre fine al genocidio dei tutsi e a liberare il Paese dal dominio degli hutu. Una verità messa in dubbio dagli oppositori di Kagame, che ricordano come anche il Fpr si fosse macchiato di massacri contro la popolazione civile hutu e che quindi il confine tra vittime e carnefici non è così netto come pretende la versione ufficiale. Ed è proprio a questa ricerca di una verità più equilibrata che si è strenuamente opposto sinora il Governo Kagame, ricorrendo anche all’intimidazione. Chiunque oggi osi rimettere in discussione la versione ufficiale sul genocidio del 1994 in Rwanda è punito anche con il carcere e anche l’ergastolo. Il tutto - denuncia la Caritas svizzera – con la complicità della comunità internazionale. In questo contesto – sottolinea il comunicato - è essenziale sostenere le organizzazioni della società civile ruandese impegnate nella promozione della pace e della riconciliazione. E’ quanto sta facendo la stessa Caritas svizzera che da anni sostiene una rete di associazioni locali di vedove e giovani e di organizzazioni religiose e non religiose impegnate su questo fronte. “Un’interpretazione di parte del passato – sottolinea in conclusione il comunicato - rischia di ostacolare una riflessione critica su quanto accaduto soprattutto tra i giovani”. Il genocidio in Rwanda si consumò tra il 6 aprile e il 19 luglio del 1994, sotto gli occhi inerti delle comunità internazionale che lo liquidò come “scontro tribale”. La persecuzione dei tutsi nel Paese si registrava sin dal 1959, ma prese la forma del genocidio nel 1994 dopo l’attentato del 6 aprile in cui perse la vita il Presidente hutu Habyarimana, alla guida di un regime dittatoriale. Il giorno successivo, nella capitale e nelle zone controllate dai governativi, iniziarono i massacri perpetrati per lo più a colpi di machete che hanno causato oltre 800mila morti. (A cura di Lisa Zengarini)







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