Il card. Dziwisz racconta il suo rapporto con Papa Wojtyla nel libro "Ho vissuto con
un santo"
“Ho vissuto con un santo” è il titolo del libro del cardinale Stanislaw Dziwisz, arcivescovo
di Cracovia, scritto in forma di conversazione con il giornalista Gianfranco Svidercoschi.
A otto anni dalla morte di Giovanni Paolo II, il porporato ricorda particolari della
vita dell’uomo di cui è stato per quasi 40 anni segretario e che il prossimo 27 aprile
sarà canonizzato. Il volume, edito da Rizzoli, è stato presentato lunedì a Roma. C’era
per noi Debora Donnini:
Il profondo
rapporto con il Signore, la passione per il Vangelo e per l’uomo, il ripudio delle
ideologie, lo slancio missionario. Sono alcuni dei tratti della vita di Karol Wojtyla
ripercorsi nel libro “Ho vissuto con un santo”. Nel testo si intrecciano i ricordi
dei momenti “storici” di Karol Wojtyla come arcivescovo di Cracovia e soprattutto
come Papa con quelli del suo profondo amore a Cristo, di attenzione alle persone,
di preghiera. Al centro soprattutto la Messa. “Si capiva bene – ricorda il porporato
nel libro – che non era solo il momento centrale di ogni sua giornata... ma il bisogno
più profondo della sua anima”. Lo conferma anche mons. Paolo Ptasznik, per
anni collaboratore di Giovanni Paolo II e responsabile della Sezione polacca della
Segreteria di Stato:
“La preghiera è stata alla base di tutta la sua attività.
Lui viveva la sua fede non come confessione di verità, ma come un rapporto concreto
con Gesù Cristo. Per questo, in ogni momento cercava di essere vicino e di ascoltare
il Signore, di attingere da questo incontro la soluzione dei problemi e le iniziative
che doveva intraprendere nella Chiesa. Soprattutto, la Santa Messa per lui era un
momento speciale. Lo abbiamo sperimentato diverse volte sia nella sua cappella sia
durante i viaggi sia durante le celebrazioni pubbliche”.
Uno dei più stretti
collaboratori di Giovanni Paolo II è stato il cardinale Camillo Ruini, cardinale
vicario dal 1991 al 2008. Nel suo discorso, il porporato ricorda come Giovanni Paolo
II avesse un’idea di Chiesa come “casa e scuola di comunione”, il cui grande compito
fosse l’evangelizzazione. “Il cardinale Dziwisz, che ha vissuto in prima persona i
rapporti fra la Curia e Papa Wojtyla, osserva che – dice il cardinal Ruini – dopo
le difficoltà iniziali ad accettare il ‘Papa polacco’, questi rapporti divennero buoni.
I tempi però non erano forse maturi per una riforma generale della Curia romana e
la Curia stessa non era pronta ad essere ricondotta ‘alla sua effettiva funzione di
servizio per il Papa e per i vescovi’ e quindi a diventare ‘un autentico strumento
di comunione tra la Santa Sede e le Chiese locali’”. Al cardinale Ruini, abbiamo chiesto
cosa lo abbia colpito di più del libro:
R. – Mi ha colpito l’approfondimento
che il cardinale Stanislao Dziwisz è riuscito a fare. Si vede chiaramente che in questi
otto anni, da quando Giovanni Paolo II è morto, ha continuato, seppur in maniera diversa
a vivere con Karol. E così ha potuto interiorizzare ulteriormente la grande eredità
che Giovanni Paolo II ci ha lasciato, un’eredità che si esprime soprattutto nel grande
progetto di Chiesa che Giovanni Paolo II ha iniziato, ha messo in cammino e che deve
continuare.
D. – Il cardinale Dziwisz ricorda quanto disse l’allora cardiale
Ratzinger all’omelia per i funerali di Giovanni Paolo II: Giovanni Paolo II ha aperto
a Cristo la società, la cultura, i sistemi politici ed economici… Questo lei lo ha
visto proprio come testimone?
R. – Si l’ho visto specialmente per l’Italia,
ma non solo. Comunque, Giovanni Paolo II è un Papa che ha dato un’autorevolezza alla
Chiesa che prima non aveva mai avuto.
A Gianfranco Svidercoschi abbiamo
chiesto quale la novità, il senso di questo libro-intervista con il cardinale Dziwisz:
R.
– Il senso del libro sta soprattutto nel fatto che don Stanislao vuole rendere testimonianza
della santità di Giovanni Paolo II, una santità che era in certi periodi a livello
eroico – come è stato il periodo quasi di martirio al momento dell’attentato – o era
una santità che don Stanislao definisce di dimensione mistica, come per esempio verso
la fine, nel periodo della sofferenza... Lui racconta addirittura di quando il Papa
– e lo racconta con molto pudore, perché dice che bisogna fermarsi di fronte al sacrario
di una coscienza – il venerdì poteva accadere che improvvisamente stesse male. Ma
quello che mi ha colpito di più è stato il raccontare la santità ordinaria, normale,
che è per tutti. Non c’è quindi nessuna differenza tra l’uomo di Dio, l’uomo di preghiera
e poi il Papa dei grandi gesti pubblici, il Papa che incontrava i grandi della Terra.
Lui, d’altra parte, quando parlava ai giovani li esortava ad andare controcorrente
e diventare santi. Noi pensiamo che la santità sia soltanto riservata ai mistici o
ai grandi martiri, ma è forse una cosa che ogni giorno dobbiamo fare. E’ lui che ha
aperto tanto le porte ai laici. Forse, lui ha creato anche le basi per una spiritualità
propria dei laici.
D. – In base a quanto le ha raccontato il cardinale Dziwisz,
cosa l’ha colpita in merito all’accento che Giovanni Paolo II poneva sull’importanza
dell’evangelizzazione, della missione della Chiesa?
R. – Lo spazio che lui
ha dato a questa Chiesa aperta ai laici, come aveva già fatto a Cracovia, e ai nuovi
protagonisti della Chiesa, perché la Chiesa adesso sta cambiando pelle proprio grazie
a questi nuovi protagonisti, cui ha dato spazio Giovanni Paolo II: i giovani, con
la creazione della Giornata mondiale della gioventù, i nuovi movimenti, che lui ha
difeso in qualche modo sia dai pericoli propri di settarismo interno sia anche da
certe ostilità, e la donna soprattutto. Lui ha dato una definizione del genio femminile,
che era mille volte superiore a tutto quello che faceva il nuovo femminismo. E poi
la difesa della donna, del matrimonio, della vita... Io penso che questo, soprattutto,
fosse quello cui teneva di più Wojtyla, cioè di spostare l’accento da questa Chiesa
troppo istituzionale ad una Chiesa più di comunione, più famiglia e più aperta ai
laici.