Niger: si aggrava il bilancio dei migranti morti nel deserto. Don Zerai: risolvere
le cause di questi flussi
Ennesima tragedia dell’immigrazione, ricordata dal Papa all'Angelus, durante il quale
ha rivolto una preghiera speciale per le vittime. E’ salito a 92 il bilancio dei migranti,
per lo più donne e bambini, morti di fame e di sete nel deserto del Niger, probabilmente
all’inizio del mese, mentre a bordo di due camion provavano a raggiungere l’Algeria
per iniziare il loro viaggio verso l’Europa. Il Paese ha deciso che si osserveranno
tre giorni di lutto nazionale. Si tratta di un fenomeno migratorio di proporzioni
ingenti che attraversa questa parte di Africa, non diverso da quello che avviene giornalmente
nel Canale di Sicilia come sottolinea don Moussie Zerai, presidente dell’Agenzia
Habeshia per la Cooperazione e lo Sviluppo, al microfono di Cecilia Seppia.
R. – E' un fenomeno
molto legato a quello del Mediterraneo e dei recenti naufragi. Non se ne sente parlare,
ma spesso succede che muoiano decine e decine di migranti anche lì, al confine tra
Sudan e Libia, Ciad o Niger. Però nessuno, purtroppo, lo racconta.
D. – Tra
l’altro si tratta di corpi trovati in stato avanzato di decomposizione, quindi oltre
alla tragedia c’è anche, in questo caso, la totale, brutale noncuranza, il non rispetto
per queste vittime...
R. – Purtroppo sì, perché spesso vengono abbandonati
dai trafficanti. Anche in passato, almeno durante il regime di Gheddafi, gli stessi
militari prendevano delle persone e le abbandonavano proprio al confine tra i due
Paesi e lì morivano di fame e di sete. C’è questo non rispetto dei vivi figuriamoci
dei morti, purtroppo.
D. – Viaggi della disperazione dietro ai quali c’è una
criminalità organizzata molto capillare, molto estesa. Addirittura, appunto, sappiamo
di trafficanti di esseri umani che vanno a prelevare la gente nei campi profughi,
facendosi pagare ingenti somme di denaro e promettendo loro chissà che cosa.
R.
– Sì, lo fanno spesso anche con la complicità dei militari o delle autorità locali,
perché non è pensabile fare spostamenti di gruppi di persone senza essere avvistati
o senza incappare nei controlli. Eppure grazie alla corruzione si riesce a superare
ogni ostacolo e i trafficanti fanno affari sulla pelle di questi poveri.
D.
– Ancora una volta questa tragedia solleva il bisogno di una cooperazione internazionale,
ma davvero basta parlare di corridoi umanitari?
R. – Non bastano solo i corridoi
umanitari, bisogna lavorare su vari fronti. Il primo impegno della comunità internazionale
è quello di risolvere le cause che spingono queste persone ad abbandonare i loro Paesi,
ma anche – come soluzione temporanea – trovare canali legali per accogliere queste
persone e realmente dare loro la protezione di cui hanno bisogno: ambasciate che aprano
le loro porte per accogliere le richieste di asilo; programmi di reinsediamento, strumenti
vari per un trasferimento legale del richiedente asilo dai campi profughi verso i
Paesi che offrono una protezione.
D. – Spesso, infatti, soprattutto da parte
europea si applica la politica del contenimento, ma bisognerebbe pure – come diceva
anche lei – concentrarsi sulle cause scatenanti di questi flussi migratori. Pensiamo
alla Somalia, dove c’è la guerra civile da 20 anni. Scenari davvero di crisi profondissime...
R.
– Sì, perché è inutile alzare delle barricate. Anche in questi giorni si è parlato
solo di rafforzamento della Frontex: cosa vuol dire questo, rafforziamo i respingimenti?
Allora esponiamo poi le persone al rischio di morire nel deserto, perché poi questi
Paesi che devono tentare di bloccare tali flussi usano proprio questo vile strumento
di abbandonare le persone lungo il confine nel deserto. E ciò non va bene. Quindi
se la "fortezza Europa" con la chiusura totale dei confini porta a questo tipo di
violazione, l’Europa stessa finisce per diventare complice di queste violazioni. Non
dev'essere così. Quindi l’azione non è solamente quella di alzare le barricate e basta,
bisogna lavorare e prima di tutto spegnere i focolai che ci sono nei vari Paesi. Lei
ha citato la Somalia da venti anni … In Eritrea da venti anni c’è una dittatura che
giustifica la sua esistenza per una guerra mai guerreggiata. Un conflitto irrisolto
che da 13 anni è al confine tra l’Etiopia e l’Eritrea. La stessa Siria … più si protrae
questo tipo di guerra, più profughi avremo.