Elezioni locali domenica in Kosovo, test di convivenza pacifica dopo la guerra
Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-Moon, ha lanciato un appello a votare nelle
elezioni locali di questa domenica in Kosovo, sostenendo che un successo della consultazione
sarà importante per la pace e la stabilità nella regione. Un appello alla popolazione
del Kosovo, ed in particolare alla comunità serba nel nord del Paese, ad andare a
votare il 3 novembre arriva anche dal capo della diplomazia Ue, Catherine Ashton.
Dei circa 120 mila serbi del Kosovo, su una popolazione di 2 milioni di abitanti in
larga maggioranza di etnia albanese, infatti, oltre 40 mila vivono nel nord del Paese.
Molti di essi sono ostili a ogni tipo di collaborazione con le autorità di Pristina
e minacciano di boicottare le amministrative kosovare. Luca Collodi ha chiesto
a don Lush Gjergji, vicario generale dell’amministrazione apostolica in Kosovo,
qual è il ruolo della Chiesa cattolica nel Kosovo ad ormai 14 anni dalla guerra con
la Serbia:
R. - Prima di
tutto è una Chiesa che ha una storia di 2mila anni. E’ una Chiesa fiorente perché
ha molte vocazioni sacerdotali e religiose, è una Chiesa che sta prendendo consapevolezza
della realtà non solo storica ma attuale in mezzo all’islam ed in mezzo alla Chiesa
ortodossa. È una Chiesa “ponte”. Noi abbiamo intrapreso due anni fa l'iniziativa di
fare incontri regolari con i responsabili delle comunità religiose; loro hanno risposto
positivamente: ogni tre mesi ci incontriamo regolarmente e discutiamo apertamente,
fraternamente sulle questioni da risolvere, da affrontare insieme. Da questi incontri
sono nati anche gruppi di studio, gruppi di esperti che preparano e divulgano quello
che noi cerchiamo di raggiungere, la ricerca del bene comune di ogni cittadino - quindi
di ogni credente - e il bene comune del Kosovo come Stato libero e giovane democrazia.
D.
– Quali sono le questioni ancora aperte in Kosovo?
R. – Sottolineamo la mancanza
della legge sulle comunità religiose su cui già da un anno si sta discutendo. Abbiamo
consegnato le nostre osservazioni che sono state prese con molta serietà dal ministero
della Giustizia. Vogliamo avere oltre alla Costituzione – che prevede la possibilità
di libertà religiosa – anche una legge esplicita che regola i rapporti delle comunità
religiose. La seconda mancanza è che non esiste ancora una legge sulla proprietà;
quindi, collegato a questo, ci sono la nazionalizzazione e la denazionalizzazione:
molti beni appartenenti alle nostre Chiese ma anche alle altre comunità sono stati
nazionalizzati dal comunismo di Tito.
D. – Nella popolazione, il rapporto tra
ortodossi serbi e kosovari albanesi qual è? Non dimentichiamoci che in Kosovo è ancora
presente la KFOR, la forza multinazionale di pace, una forza militare…
R. –
Adesso questa è più che altro un decoro perché finalmente – il 19 aprile di quest’anno
– è stato raggiunto un accordo tra il primo ministro del Kosovo ed il primo ministro
della Serbia;si sono incontrati più volte a Bruxelles, sotto il patrocinio
della Comunità europea.Hanno riconosciuto alcuni documenti: possiamo viaggiare
con la carta di identità, riconoscono anche le registrazioni dei veicoli ed il titolo
scolastico; si parlerà anche di altre cose, come delle pensioni. Siamo a buon punto.
Avremo un banco di prova il 3 novembre, quando ci saranno le elezioni locali: per
la prima volta parteciperanno anche le comunità serbe del nord riconoscendo finalmente
la costituzione del Kosovo e riconoscendo la nuova realtà che si è creata. A questo
punto le questioni aperte ci sono, si parla apertamente e si è fatto un cammino abbastanza
positivo.
D. – La popolazione è povera, manca il lavoro. Che prospettive ci
sono per i kosovari?
R. – Purtroppo ci sono tanti pregiudizi. Sono state messe
in circolazione diverse questioni che non sono reali ma servono solo a creare pregiudizi
e a presentare il Kosovo come luogo di transito di droga, prostituzione, armi ed addirittura
di organi; ma anche di fondamentalismo islamico… Nel Kosovo esiste un islam molto
moderato, una fratellanza universale fra noi albanesi. Quindi i presupposti fondamentali
per un dialogo interreligioso cristiano-musulmano e per un dialogo ecumenico tra noi
cristiani cattolici e ortodossi esistono. Siamo un esempio unico a livello dei Balcani,
dell’Europa e del mondo. Questa realtà purtroppo non viene né conosciuta, né riconosciuta
in buona parte dall’Europa e dal mondo.