2013-11-01 10:15:28

Elezioni locali domenica in Kosovo, test di convivenza pacifica dopo la guerra


Il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-Moon, ha lanciato un appello a votare nelle elezioni locali di questa domenica in Kosovo, sostenendo che un successo della consultazione sarà importante per la pace e la stabilità nella regione. Un appello alla popolazione del Kosovo, ed in particolare alla comunità serba nel nord del Paese, ad andare a votare il 3 novembre arriva anche dal capo della diplomazia Ue, Catherine Ashton. Dei circa 120 mila serbi del Kosovo, su una popolazione di 2 milioni di abitanti in larga maggioranza di etnia albanese, infatti, oltre 40 mila vivono nel nord del Paese. Molti di essi sono ostili a ogni tipo di collaborazione con le autorità di Pristina e minacciano di boicottare le amministrative kosovare. Luca Collodi ha chiesto a don Lush Gjergji, vicario generale dell’amministrazione apostolica in Kosovo, qual è il ruolo della Chiesa cattolica nel Kosovo ad ormai 14 anni dalla guerra con la Serbia:RealAudioMP3

R. - Prima di tutto è una Chiesa che ha una storia di 2mila anni. E’ una Chiesa fiorente perché ha molte vocazioni sacerdotali e religiose, è una Chiesa che sta prendendo consapevolezza della realtà non solo storica ma attuale in mezzo all’islam ed in mezzo alla Chiesa ortodossa. È una Chiesa “ponte”. Noi abbiamo intrapreso due anni fa l'iniziativa di fare incontri regolari con i responsabili delle comunità religiose; loro hanno risposto positivamente: ogni tre mesi ci incontriamo regolarmente e discutiamo apertamente, fraternamente sulle questioni da risolvere, da affrontare insieme. Da questi incontri sono nati anche gruppi di studio, gruppi di esperti che preparano e divulgano quello che noi cerchiamo di raggiungere, la ricerca del bene comune di ogni cittadino - quindi di ogni credente - e il bene comune del Kosovo come Stato libero e giovane democrazia.

D. – Quali sono le questioni ancora aperte in Kosovo?

R. – Sottolineamo la mancanza della legge sulle comunità religiose su cui già da un anno si sta discutendo. Abbiamo consegnato le nostre osservazioni che sono state prese con molta serietà dal ministero della Giustizia. Vogliamo avere oltre alla Costituzione – che prevede la possibilità di libertà religiosa – anche una legge esplicita che regola i rapporti delle comunità religiose. La seconda mancanza è che non esiste ancora una legge sulla proprietà; quindi, collegato a questo, ci sono la nazionalizzazione e la denazionalizzazione: molti beni appartenenti alle nostre Chiese ma anche alle altre comunità sono stati nazionalizzati dal comunismo di Tito.

D. – Nella popolazione, il rapporto tra ortodossi serbi e kosovari albanesi qual è? Non dimentichiamoci che in Kosovo è ancora presente la KFOR, la forza multinazionale di pace, una forza militare…

R. – Adesso questa è più che altro un decoro perché finalmente – il 19 aprile di quest’anno – è stato raggiunto un accordo tra il primo ministro del Kosovo ed il primo ministro della Serbia; si sono incontrati più volte a Bruxelles, sotto il patrocinio della Comunità europea. Hanno riconosciuto alcuni documenti: possiamo viaggiare con la carta di identità, riconoscono anche le registrazioni dei veicoli ed il titolo scolastico; si parlerà anche di altre cose, come delle pensioni. Siamo a buon punto. Avremo un banco di prova il 3 novembre, quando ci saranno le elezioni locali: per la prima volta parteciperanno anche le comunità serbe del nord riconoscendo finalmente la costituzione del Kosovo e riconoscendo la nuova realtà che si è creata. A questo punto le questioni aperte ci sono, si parla apertamente e si è fatto un cammino abbastanza positivo.

D. – La popolazione è povera, manca il lavoro. Che prospettive ci sono per i kosovari?

R. – Purtroppo ci sono tanti pregiudizi. Sono state messe in circolazione diverse questioni che non sono reali ma servono solo a creare pregiudizi e a presentare il Kosovo come luogo di transito di droga, prostituzione, armi ed addirittura di organi; ma anche di fondamentalismo islamico… Nel Kosovo esiste un islam molto moderato, una fratellanza universale fra noi albanesi. Quindi i presupposti fondamentali per un dialogo interreligioso cristiano-musulmano e per un dialogo ecumenico tra noi cristiani cattolici e ortodossi esistono. Siamo un esempio unico a livello dei Balcani, dell’Europa e del mondo. Questa realtà purtroppo non viene né conosciuta, né riconosciuta in buona parte dall’Europa e dal mondo.







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