Siria blocca la produzione di armi chimiche. Si complica però la strada verso Ginevra
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Il Programma alimentare mondiale (Pam) fa sapere che in ottobre ha potuto distribuire
aiuti a 3,3 milioni di persone in Siria, un record dallo scoppio del conflitto ma
al di sotto dei bisogni della popolazione. Sul piano diplomatico, intanto, il negoziatore
internazionale Brahimi, in partenza da Damasco, avverte: nessuna Conferenza di ‘Ginevra
2’ senza l'opposizione. Sul terreno è stato confermato l'attacco di aerei militari
israeliani alla base siriana di Latakia, per evitare – è stato detto - "il trasferimento
di missili a Hezbollah". Damasco infine asseconda la comunità internazionale e - per
la scadenza odierna - disattiva tutte le istallazioni per la produzione e l’assemblaggio
delle armi chimiche. Poste sotto sigilli, impossibili da violare, oltre mille tonnellate
di agenti chimici e rese inutilizzabili 290 tonnellate di armi. Lo fa sapere l'Opac,
l’Organizzazione che si occupa dello smantellamento degli arsenali nel Paese. Sull’attendibilità
e il significato della disattivazione delle armi da parte del regime di Assad, Gabriella
Ceraso ha raccolto il commento di Giorgio Alba di "Archivio Disarmo":
R. - Abbiamo
una massima credibilità in quanto la dichiarazione è supportata dalla presenza sul
terreno di personale altamente specializzato, consapevole anche dell’impatto politico
di eventuali dichiarazioni errate. Da un punto di vista prospettico, i tempi sono
rapidi ma non dobbiamo farci confondere da questo, l’importante è raggiungere l’obbiettivo:
fermata la produzione di ulteriori armi, cosa fare con le armi già esistenti? Queste
devono essere smantellate. Attualmente sono in corso dei negoziati soprattutto tra
Stati Uniti e Paesi occidentali: la Norvegia e l’Albania potrebbero essere i due Paesi
incaricati allo smantellamento.
D. - Quindi rimane tutta la pianificazione
successiva, si parlava dalla metà del 2014 per la distruzione definitiva…
R.
- Esatto. Non prevedo ritardi. Bisognerà però verificare nel tempo come questo smantellamento
avverrà e soprattutto che impatto da un punto di vista ambientale avrà. Le scorie
risultanti dallo smantellamento delle armi chimiche infatti hanno dei rischi ambientali
molto elevati, per questo attualmente i Paesi che dovrebbero, non stanno accettando
di ospitare queste armi.
D. - È possibile che ci siano armi chimiche nelle
mani dei ribelli e in tal caso cosa succede a quelle armi?
R. - Attualmente
gli esperti nel settore indicano, con tutta probabilità, l’assenza di armi chimiche
nelle mani dei ribelli o eventualmente la presenza di armi chimiche o sostanze associabili
alle armi chimiche che vengono però fornite dall’esterno.
D. - Quindi lei sta
dicendo che, nonostante questa operazione, comunque c’è possibilità che circolino
ancora armi chimiche?
R. - Fino a quando tutti i Paesi non ratificano il Trattato
per la messa al bando delle armi chimiche non è possibile escludere queste ipotesi.
D.
- Comunque armi in Siria continuano ad essere presenti, perché il conflitto sta andando
avanti …
R. - Le armi continuano ad essere presenti in quanto esistono canali
di trasporto, di commercio di armi convenzionali attraverso la Turchia, la Giordania
e il confine con l’Iraq. Esistendo queste rotte, non possiamo escludere che con un
buon finanziamento, qualche entità governativa o meno possa utilizzare questi canali
di trasporto per trasferire armi chimiche all’interno della Siria o all’esterno, quindi
dalla Siria verso Paesi terzi.
D. - Come vede, a livello strategico, questa
ipotetica data della “Ginevra 2” dopo che lo stesso Assad ha avvertito che l’esito
dipende dal supporto degli stranieri ai terroristi locali?
R. - L’indicazione
che ha fatto Assad significa semplicemente un posizionamento tattico nei confronti
dei propri referenti politici a livello internazionale. Assad rappresenta il vertice
di una struttura di potere religioso e etnico in Siria che vuole essere tutelata.
Assad rappresenta questi interessi e sta segnalando che questi interessi devono essere
tutelati: “Siamo pronti al negoziato ma dovete prima tutelare i nostri interessi”.
Teniamo presente l’esempio dell’Iraq, dove gli interessi delle minoranze sunnite -
pensiamo agli ultimi attentati con autobombe e esplosivi - non sono pienamente tutelati
dal governo sciita.