Amazzonia: mons. Frigeni, la Chiesa ha la responsabilità di difendere Indios e ambiente
Si avvia a conclusione a Manaus, capitale dello Stato brasiliano di Amazonas, il primo
incontro della Chiesa cattolica dell’Amazzonia, che ha riunito vescovi, laici, coordinatori
pastorali, responsabili di varie istituzioni della Conferenza episcopale brasiliana.
Ai lavori, a cui ha partecipato anche il presidente della Commissione episcopale per
l’Amazzonia, il card. Cláudio Hummes, arcivescovo emerito di Sao Paulo, si è fatto
il punto sulla realtà politica, sociale, economica, culturale e religiosa della regione;
in primo piano, il ruolo della Chiesa nella promozione e nella difesa degli abitanti
e dell’ambiente amazzonici. La nostra inviata a Manaus Cristiane Murray ha
intervistato mons. Giuliano Frigeni, vescovo di Parintins, nel basso Amazonas:
R. - Sono il
quarto vescovo di Parintins e arrivo dopo 50 anni di storia di evangelizzazione in
quell’area, dove i miei predecessori hanno creato tantissime comunità lungo i fiumi
e i laghi. Sono cresciute delle cittadine che inizialmente contavano tre - quattromila
abitanti e ora ne contano 30 - 40 mila. È la naturale urbanizzazione di quelli che,
vivendo lungo i fiumi, poi riescono ad avere una casa in città. E dopo una, due, tre
o più ore di barca possono tornare presso il loro terreno nella foresta, in un equilibrio
tra l’urbano e il rurale.
D. - Di cosa si è discusso ai lavori?
R.
- In questo primo incontro in Amazzonia è come se fossero arrivate tutte le notizie
di questi ultimi anni: dal lavoro che si fa con gli Indios, ai grandi progetti economici,
al drammatico problema dl disboscamento della foresta amazzonica. Dicono che nello
Stato dell’Amazzonia non avviene questa pratica, ma io stesso ho ricevuto 750 metri
cubi di legno pregiato da distribuire alle comunità: qualcuno aveva tagliato illegalmente
della legna da destinare alla costruzione, che poi è stata sequestrata dalle autorità
e destinata appunto alla ridistribuzione. Si trattava di una chiatta che conteneva
questo carico di legna, ma chissà quanti di questi carichi riescono a superare i controlli…
E ciò accade nella piccola città in cui mi trovo, figuriamoci altrove. Poi in questi
giorni c’è stata la questione delle famose centrali idroelettriche: tra l’altro, per
vari anni mi sono occupato di quella di Balbina, a 160 km da Manaus, perché andavo
a celebrare la Messa per i quattromila operai. Lì c’è una diga che, in quanto a produzione
elettrica, ha dato un risultato veramente ridicolo per le necessità di Manaus. Per
non parlare del disastro ecologico provocato e dell’aera abitata da un popolo indigeno
locale che è stata pregiudicata: è vero, la popolazione è stata ricompensata con del
denaro, ma il denaro però non riesce a ricompensare il modo con cui per secoli o millenni
l’uomo ha convissuto con l’Amazzonia, senza distruggerla. Abbiamo inoltre riflettuto
sui rischi dei grandi progetti estrattivi: gli indios estraggono dalla foresta, però
la foresta è così grande che produce e si riproduce; ma la situazione è diversa quando
si disbosca e si estrae un tipo di prodotto che serve per il grande commercio, per
i grandi guadagni in poco tempo.
D. – Allora qual è il ruolo della Chiesa in
questo contesto?
R. - Ci troviamo davanti una responsabilità grandissima. Come
Chiesa, come sacerdoti, laici, vescovi noi siamo presenti praticamente in tutti gli
angoli, arriviamo in tutti i posti. E allora dobbiamo preoccuparci di far capire cos’è
il Vangelo. Il Vangelo è proprio Dio che si è fatto uomo e si è interessato dell’uomo.
Quindi non possiamo assolutamente ignorare ciò che sta avvenendo con l’uomo, non soltanto
in Amazzonia, ma in Brasile, in l’America Latina e nel mondo intero.