Egitto: arrestato un altro leader dei Fratelli Musulmani
Situazione sempre più complicata in Egitto. È stato arrestato al Cairo Essam El-Erian,
vicepresidente del braccio politico dei Fratelli Musulmani, il Partito per la Libertà
e la Giustizia. Dal 3 luglio scorso, quando l’esercito - sotto la spinta delle proteste
di piazza - ha deposto il presidente Mohamed Morsi, molti esponenti del movimento
sono stati arrestati con l’accusa di incitamento alla violenza. Intanto, il 4 novembre
prossimo è in programma il processo - sempre per incitamento alla violenza e all’omicidio
- nei confronti del deposto presidente e di alcuni suoi fedelissimi: tre dei giudici
incaricati hanno però deciso di auto-ricusarsi, rinunciando a processare la guida
suprema della Fratellanza, Mohamed Badie, i suoi vice, Khairat el Shater e Rashad
Bayoumi, e altri tre dirigenti. I magistrati hanno detto di essere “a disagio” nel
proseguire l'esame del procedimento, probabilmente perché gli imputati non sono mai
comparsi in aula. Nella capitale, infine, proseguono le proteste degli universitari
contro la destituzione dello stesso Morsi: le forze di sicurezza hanno lanciato lacrimogeni
e sparato munizioni a salve per disperdere i manifestanti. Il commento di Renzo
Guolo, docente di Sociologia dell’Islam all’Università di Padova, intervistato
da Giada Aquilino:
R. - L’arresto
di Essam el-Erian, il vice presidente del Partito per la Libertà e la Giustizia, emanazione
della Fratellanza Musulmana, era già stato ordinato dopo i moti di quest’estate che
hanno portato alla presa del potere da parte dei militari. È evidente, però, che in
qualche modo si tratta dell’ultimo dirigente di un certo livello ancora in libertà.
A questo punto l’organizzazione sia dal punto di vista politico sia da quello religioso
- visto anche che la guida, Badie, era stata già arrestata - è completamente decapitata.
La questione solleva grandissimi problemi perché si tratta di capire che, al di là
dei provvedimenti che hanno messo fuori legge la Fratellanza, qualsiasi ipotesi di
inclusione rispetto al sistema politico difficilmente può prescindere - come dicono
gli Stati Uniti e l’Unione Europea - dall’inserimento di un partito di questo tipo
nel gioco politico.
D. - Nel frattempo i giudici del processo al presidente
deposto Morsi e ai suoi fedelissimi si sono auto-ricusati nel procedimento ai vertici
della Fratellanza Musulmana. A questo punto si complica tutto l’iter giudiziario?
R.
- Si complica sicuramente, perché ci sono delle questioni che riguardano proprio la
legittimità dell’intervento. La struttura giudiziaria era stata sottoposta sostanzialmente
ad una duplice pressione, prima da parte dei generali e dello Scaf (il Consiglio supremo
delle Forze armate) fino all’avvento della presidenza Morsi; poi lo stesso Morsi aveva
fatto una sorta di tentativo di mettere sotto controllo la magistratura da parte dell’esecutivo,
che era stato comunque liberamente scelto dal popolo. Quindi è evidente che la magistratura
si trova oggi di fronte alla necessità di garantire la legalità tenendo conto che
il quadro politico in cui si muove è quello dell’emergenza. E da qui viene evidentemente
l’imbarazzo dei giudici. Probabilmente adesso i giudici verranno sostituiti, ma la
scelta dei militari non è pacifica nemmeno all’interno delle organizzazioni dello
Stato: ciò genera sicuramente tensioni istituzionali.
D. - Il quadro che ne
esce è quello di un Paese spaccato in più anime. Tra l’altro al Cairo ci sono state
ancora delle manifestazioni di universitari disperse con i lacrimogeni e le munizioni
a salve. Il Paese, a questo punto, dove va?
R. - Il Paese è fortemente diviso:
è polarizzato tra i sostenitori del golpe di luglio - che di fatto ha riportato al
potere il regime degli “Ufficiali liberi” che aveva avuto una sua interruzione dopo
la caduta di Mubarak e che, in funzione anti islamista, aveva avuto l’appoggio di
una parte rilevante della popolazione - e quanti invece ritengono che la situazione
che si è determinata con questo intervento sconfini nell’illegalità e che sia praticamente
impossibile tagliare fuori metà del Paese. Teniamo conto che, per quanto i Fratelli
Musulmani siano vittime della loro stessa incapacità di governo, comunque hanno ancora
un forte radicamento non solo nelle città, ma soprattutto nel medio e nell’alto Egitto.
Quindi è evidente che la decapitazione di questa organizzazione può provocare un duplice
processo all’interno della Fratellanza. Da un lato, c’è già una corrente di quadri
più giovani che pensa che in ogni caso bisognerà fare i conti con questo fallimento
politico e punta a modificare la cultura politica di governo. Dall’altro lato, comincia
a comparire una corrente che ritiene che di fatto non sia possibile costruire né uno
Stato religioso né uno Stato islamico all’interno di un processo democratico. Questo
evidentemente può generare anche una fuoriuscita di alcune fazioni o alcuni settori
verso un islam più radicale. Dobbiamo tenere presente che il Sinai è una zona fuori
controllo, con gruppi jihadisti e qaedisti. Se il malcontento si diffondesse, ci potrebbe
essere una saldatura anche con questo pezzo di mondo fino a provocare una sorta di
corto circuito anche dal punto di vista della sicurezza.