Il card. Tauran per la festa del Deepavali: cristiani e indù uniti per il bene comune
della famiglia umana
“Cristiani e Indù, con l’amicizia e la solidarietà, possono favorire le relazioni
umane a beneficio di tutta l’umanità”. Così il card. Jean-Louis Tauran, presidente
del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso nel Messaggio per la Festa
del Deepavali, tra le più antiche e radicate nel mondo induista, che quest’anno culmina
il 3 novembre. Il servizio di Roberta Gisotti:
“Cari amici
indù”, scrive in amicizia il cardinale Tauran esprimendo i suoi auguri per questa
ricorrenza, nota come ‘Festa delle Luci’ - per la tradizione di accendere lucerne,
candele o lampade nelle case - occasione per le famiglie induiste di ritrovarsi per
celebrare la vittoria della verità sulla menzogna, del bene sul male, della vita sulla
morte. “In questo mondo cosi competitivo”, con “crescenti tendenze individualistiche
e materialistiche”, che “hanno effetti negativi sulle relazioni e creano spesso divisioni
nelle famiglie e nell’intera società”, - osserva il porporato nel Messaggio - “la
sicurezza e la pace nelle comunità locali, nazionali e sovranazionali dipendono “in
gran parte” “dalla qualità del nostro interagire umano”. “Più approfondiamo le nostre
relazioni, più siamo capaci di progredire nella collaborazione, nella costruzione
della pace e nell’autentica solidarietà ed armonia”. “Noi tutti apparteniamo, infatti,
- scrive il porporato - all’unica famiglia umana”, “prescindendo dalle nostre differenze
etniche, culturali, religiose ed ideologiche”. Occorre quindi contrastare “la crescita
nella società del materialismo e del disprezzo verso i valori spirituali e religiosi
più profondi”, “accompagnata da una pericolosa tendenza a dare identico valore alle
cose materiali e alle relazioni umane, riducendo la persona umana da un ‘qualcuno’
a un ‘qualcosa’ che si può mettere da parte a propria discrezione”. “Tendenze individualistiche”
che “generano un falso senso di sicurezza”, favorendo – come indicato da Papa Francesco
– “la cultura “dell’esclusione e “dello scarto” e “la globalizzazione dell’indifferenza”.
Promuovere dunque “una cultura della solidarietà” è un imperativo per tutti i popoli,
perché si veda nell’altro “non un concorrente o un numero ma un fratello”. E ciò “si
può ottenere – conclude il presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso
- solo come risultato di uno sforzo comune di tutti verso il bene comune.”