Il dramma degli immigrati attraversa anche l'Egitto: la testimonianza di un missionario
comboniano
A più di due anni e mezzo dalle prime manifestazioni di piazza, la situazione in Egitto
resta instabile: domani ci sarà una nuova protesta organizzata dai seguaci del presidente
deposto Morsi. Tra le categorie che più ne hanno risentito ci sono i migranti e i
richiedenti asilo che arrivano dall’Africa sub-sahariana: per loro l’Egitto è spesso
solo una tappa di un viaggio più lungo, verso l’Europa o Israele. Nell’intervista
di Davide Maggiore ascoltiamo la testimonianza di padre Jemil Araya,
missionario comboniano, impegnato da anni nella pastorale per i migranti al Cairo:
R. – When the
refugees come to Egypt, whether it is from Eritrea or Ethiopia … Quando i rifugiati
arrivano in Egitto, che vengano dall’Eritrea, dall’Etiopia, dalla Somalia o dal Sudan,
vengono per trovare una maggiore protezione e migliori condizioni di vita. Quando
però non trovano protezione o quello che si aspettavano di trovare in questo Paese,
quando perdono la speranza una volta entrati in Egitto, intraprendono ulteriori passi
per uscire dal Paese. La maggior parte di loro sono frustrati; non è loro intenzione
rimanere a vivere qui, in Egitto, perché la situazione attuale non consente loro di
avere maggiore protezione e migliori prospettive per il futuro.
D. – Quali
sono le condizioni umanitarie di queste persone?
R. – First of all, when they
come here they don’t have housing: … Innanzitutto, quando arrivano qui non hanno
ricovero: come lei sa, in Egitto non esistono campi profughi gestiti da qualsiasi
agenzia umanitaria né dal governo, e quindi le persone non riescono a trovare una
casa. Per trovare una casa bisogna trovare un lavoro per poter pagare l’affitto, e
l’affitto – soprattutto per i rifugiati – è molto alto: loro non sono in condizioni
di pagarlo. Allo stesso tempo, anche l’istruzione non è aperta a tutti: i bambini
siriani hanno avuto la possibilità di unirsi ai bambini egiziani nelle scuole statali
solo ora, ad un anno dal loro arrivo nel Paese. La stessa cosa vale per l’accesso
alle cure, agli ospedali. Ad altri rifugiati, in questo momento, sono negate anche
queste cose. Queste sono alcune delle ragioni per cui non si sentono al sicuro; si
trovano ad affrontare molti pericoli, tra cui il traffico di persone e l’arresto durante
l’attraversamento della frontiera e la successiva detenzione. Tutti questi aspetti
impongono ai rifugiati condizioni di paura.
D. – Negli ultimi anni, mentre
l’Egitto stesso attraversava un periodo di disordini che peraltro non è ancora finito,
queste condizioni sono cambiate?
R. – It has worsened even for the Egyptians
themselves, but it worsened … E’ peggiorata perfino per gli stessi egiziani, ma
soprattutto è peggiorata per i rifugiati; infatti, le persone abbienti, quelli che
se lo possono permettere, hanno lasciato il Paese e quindi molte persone – soprattutto
le donne – sono rimaste senza lavoro: molte di loro lavoravano come domestiche in
casa … Per questo si trovano veramente in una brutta situazione.
D. – Come
assistete queste persone nei vostri centri?
R. – We provide of course services
within the school; we assist also in emergency … Mettiamo a disposizione servizi
scolastici e in situazioni di emergenza forniamo anche cibo e interventi sanitari.
Per quanto riguarda l’assistenza pastorale, ‘diamo vita’ alle comunità: la Chiesa
è sempre stata madre per tutti, e il nostro centro accoglie chiunque vi si rivolga.
Attualmente, nelle nostre scuole ci sono anche musulmani. Quindi, il nostro approccio
pastorale va oltre la comunità, per chiunque ne voglia beneficiare …