Accordo Ue sull'immigrazione. Centro Astalli e Migrantes: fatto solo passo iniziale,
occorre più coraggio
Nel canale di Sicilia continuano le operazioni di soccorso di barconi con a bordo
migranti. Oltre 200 le persone tratte in salvo nella notte, molte delle quali di nazionalità
siriana. E proseguono anche le riflessioni sull’esito del Consiglio Europeo di Bruxelles,
conclusosi il 25 ottobre. I 28 hanno stabilito in linea teorica la condivisione delle
responsabilità nella risposta agli arrivi di migranti. Alla soddisfazione di aver
fatto divenire il tema “europeo”, risponde però lo scetticismo di chi è in prima linea
nell’accoglienza, come padre Giovanni La Manna, direttore del Centro Astalli
di Roma, la struttura dei Gesuiti che da oltre 30 anni assiste i rifugiati. Francesca
Sabatinelli lo ha intervistato:
R. – Registriamo
ancora una volta la lentezza della politica rispetto alla velocità della realtà: il
decidere in maniera unitaria e comunitaria sull’asilo politico viene rinviato addirittura
al giugno 2014! Siamo soddisfatti del fatto che il nostro presidente del Consiglio,
Enrico Letta, abbia preso coscienza dell’inadeguatezza – sono parole sue – riguardo
alle politiche comunitarie sull’asilo politico e sulle migrazioni. Il potenziamento
di Frontex può evitare i naufragi ma non risolve alla radice. Le persone, comunque,
hanno dovuto pagare i trafficanti, sono dovute salire su dei barconi e questa è una
cosa che va evitata a monte. Da questo punto di vista, c’è mancato ancora una volta
il coraggio di fare un vero passo, si è fatto un mezzo passo! Impiegare un maggior
numero di forze per evitare i naufragi è sì positivo, ma i naufragi vanno prevenuti.
Noi continuiamo ad insistere affinché siano stabiliti da subito canali umanitari sicuri.
D.
– Il punto è che, come è stato detto anche in sede comunitaria, la parola solidarietà
a Bruxelles evidentemente ha assunto, e assume, significati diversi a seconda dei
Paesi …
R. – Sì, è pur vero che il fatto che tutti siano coscienti e abbiano
assunto questo valore, è qualcosa di positivo. Non può più essere che per noi italiani
‘solidarietà’ significhi una cosa, in Germania un’altra, in Norvegia e in Finlandia
un’altra ancora. Quindi, è positivo aprire gli occhi, svegliare le coscienze. Ora
però impegniamoci in tempo reale a declinare cosa significhi ‘solidarietà’. Noi ci
consideriamo Paesi civili, e allora che i fatti, le nostre azioni, testimonino concretamente
ciò che affermiamo a parole.
D. – Il tema dell’asilo è uno degli assi portanti
di questo discorso. Il problema è che tutti i Paesi dovranno fare i conti con le forze
interne populiste, ecco dunque che la questione asilo, fondamentalmente, non la vuole
affrontare nessuno …
R. - … e soprattutto in un tempo in cui ci avviciniamo
alle elezioni europee – io lo comprendo bene – questo è un tema impopolare che, per
la povertà culturale che viviamo, toglie consensi ai politici che devono smetterla
di preoccuparsi solo dei consensi, e preoccuparsi invece del bene di tutti, compresi
i rifugiati. Anche noi popolazione, che con l’espressione del nostro voto diamo il
consenso, dovremmo trasformare il nostro modo di pensare: fare un salto per essere
tutti uniti nella preoccupazione per le persone, soprattutto per quelle esposte al
pericolo della vita. In questo vorrei aggiungere che l’Italia ha fatto un grosso lavoro,
accompagnando l’Unione Europea alla presa di coscienza di una inadeguatezza. Però,
anche noi per avere maggiore autorevolezza e credibilità, siamo chiamati a fare i
nostri passi sul nostro territorio. L’Unione Europea ci ha invitati, senza fare esplicito
riferimento, alla revisione della legge sull’immigrazione che abbiamo, io aggiungo
che siamo chiamati a dare maggiore dignità nelle risposte a queste persone che scappano
dalle guerre: non possiamo più assistere, come accade, ad un’accoglienza che costringe
le persone a dormire per terra. Siamo chiamati a fare un lavoro interno che ci dia
maggiore credibilità e autorevolezza. Io leggo che il Viminale è disposto a fare accogliere
nelle famiglie i profughi, questo sarebbe un bel segno se le persone potessero contare
su una rete di operatori specializzati nell’accompagnare queste persone. Il parcheggio,
offrendo 30 euro a chi ha una o più stanze nella propria abitazione, non mi sembra
la soluzione più opportuna. Certo potrebbe essere una risposta – e lo dico in tono
polemico – alle difficoltà che hanno le famiglie italiane. Ripeto: queste persone
hanno già pagato un prezzo altissimo nella loro vita, meritano un’attenzione! Non
possiamo accontentarci di vedere immagini vergognose, indegne di un Paese civile che
accoglie su materassini di gommapiuma buttati per terra, sui quali le persone sono
costrette a consumare il loro pasto.
Di passo importante, seppur agli inizi,
parla mons. Giancarlo Perego, direttore di Fondazione Migrantes, l'organismo
della Cei, al microfono di Francesca Sabatinelli:
R. – Credo che
questo Consiglio d’Europa sul tema delle migrazioni sia un passo importante in ordine
alla consapevolezza su un tema che deve diventare comune dell’Europa sociale; ma è
solo un passo iniziale. Infatti, ci sono state discussioni anziché decisioni intorno
ai temi importanti che sono: la riforma del diritto d’asilo in Europa, la circolazione
delle persone in Europa, che possa essere più libera per far sì che si raggiungano,
ad esempio, i propri familiari. Non si è discusso di cooperazione internazionale,
che è un tema fondamentale a livello europeo per affrontare le crisi dei Paesi da
cui provengono queste persone; non si è discusso di una diplomazia comune, di un’azione
diplomatica comune in ordine alla Siria, alla Somalia e all’Eritrea, i Paesi da cui
oggi provengono la maggior parte di rifugiati, che sono Paesi in guerra. Si è discusso,
invece – e questo certamente è importante – di rafforzare il monitoraggio del Mediterraneo
anche sulla scorta delle esperienze di questi anni, da Frontex a Mare Nostrum, facendo
in modo che non si controllino solo i confini ma che ci sia un controllo per tutelare
le persone. Quindi, credo che il Consiglio d’Europa sia stato un passo importante,
ma solo iniziale. Vedremo a dicembre, e soprattutto a giugno, quali saranno concretamente
le azioni che andranno effettivamente nella direzione di una gestione comune dei flussi
migratori e di una gestione comune del diritto d’asilo nel contesto europeo.
D.
– Mons. Perego, ricordiamo però anche che in Italia manca una legge organica sull’asilo
…
R. – Certamente. Essere arrivati a questo Consiglio d’Europa senza ancora
una puntuale legge sull’asilo, senza ancora un piano nazionale di asilo, e con ancora
una gestione emergenziale di questo fenomeno, ci porta in Europa molto deboli, e naturalmente
gli Stati che su questo lavoro del diritto d’asilo hanno invece una programmazione
forte, come la Germania, la Francia e l’Inghilterra, chiaramente fanno capire che
una condivisione di questo diritto d’asilo avviene nella misura in cui ci sia uno
stesso impegno, e non dieci volte tanto per la Germania e in Italia, invece, il diritto
d’asilo riconosciuto soltanto a 60 mila persone.
D. – Il premier Enrico Letta
ha espresso soddisfazione per il risultato ottenuto a Bruxelles; il governo italiano,
però, ora dovrà comunque fare i conti con una gran parte d’Italia che chiede la revisione
della legge sull’immigrazione …
R. – Certamente, il Consiglio d’Europa è stato
un richiamo forte anche all’Italia per una revisione sul piano non solo legislativo
ma anche sul piano della prassi per quanto riguarda l’accoglienza dei richiedenti
asilo e dei rifugiati, e per quanto riguarda anche la gestione di una porta, qual
è Lampedusa, che chiaramente in questi anni è stata gestita – questa accoglienza a
Lampedusa – soltanto in una forma emergenziale. Infatti, credo che la visita e l’incontro
stesso del sindaco di Lampedusa a Bruxelles sia stato un segnale importante per dire
come questa porta d’Europa abbia bisogno di essere cambiata e debba diventare un modello
di accoglienza. E questo chiede anzitutto un piano regolatore per quanto riguarda
l’isola, che manca, e chiede una rinnovata attenzione alla gestione dell’accoglienza
che non può essere fatta con gli strumenti che oggi esistono a Lampedusa.
D.
– Il monito che la società civile dovrebbe rivolgere non solo alle istituzioni italiane,
ma anche ai leader europei, qual è?
R. – Certamente di un coinvolgimento più
ampio dell’Europa, ma dando un segnale forte di una riforma interna, anche, sul piano
dell’immigrazione, della gestione dell’immigrazione e dei rifugiati in Italia. Chiaramente,
se non ci saranno questi passi, quella situazione di vergogna che il Papa ha richiamato
in questi mesi, non sarà che ripetuta e sarà certamente un segnale allarmante in ordine
proprio alla tutela dei diritti delle persone che sono in cammino.