Mutilazioni genitali femminili: Conferenza internazionale ieri a Roma
Oggi "sono 125 milioni in 29 Paesi le donne colpite dalle mutilazioni genitali. Una
pratica mostruosa ampiamente diffusa in Asia, Africa e Medio Oriente. Si può e si
deve fare di più: il consenso sta crescendo”. Così Babatunde Osotimehin, direttore
dell’Unfpa, il Fondo Onu per la popolazione, aprendo ieri a Roma la Conferenza internazionale
sulle mutilazioni genitali femminili voluta dalla Farnesina. “Si tratta di una battaglia
per la difesa dei diritti umani che non ha frontiere”, ha detto il ministro degli
Esteri italiano, Emma Bonino, garantendo l’impegno economico, finanziario e politico
del governo. Il servizio di Gabriella Ceraso:
L’impegno italiano
per l’eliminazione delle mutilazioni genitali femminili continuerà nonostante la crisi,
perché quanto fatto finora offre segnali di speranza: così il ministro Bonino, confermando
dinanzi ai rappresentanti dell’Onu che i programmi di prevenzione avviati dal 2008
in 12 su 15 Paesi nel mondo hanno ottenuto sia in alcuni casi l’introduzione di leggi
specifiche, sia in 10 mila comunità – circa 8 milioni di persone in 15 Paesi – l’abbandono
di tale pratica che ha gravi conseguenze nell’immediato ma anche nel lungo periodo,
sulla salute e il benessere di donne e bambine. Dal 2011 inoltre, secondo quanto riferito
dalla Bonino, quasi 300 strutture sanitarie hanno incluso programmi di prevenzione,
quasi 20 mila sessioni di educazione sono state rivolte alle comunità interessate
e più di 4 mila leader religiosi hanno informato i propri seguaci del fatto che, per
esempio, l’islam non autorizza le mutilazioni.
Le stime di questa pratica aberrante,
legata a tradizioni ancestrali, che uniscono motivazioni sociologiche, igieniche,
estetiche e sanitarie, restano comunque spaventose, e ancora rimane da fare: secondo
il direttore dell’Unfpa occorre passare dal tasso di abbattimento delle mutilazioni,
che oggi si attesta all’1% annuo, fino al 10% "per porre fine a questa pratica già
nel 2015". Ad oggi ci sono più di 125 milioni di bambine e donne vittime, in 29 Paesi
in cui la pratica è diffusa: l’Africa sub sahariana è l’area più colpita; Somalia,
Sudan, Gibuti e Guinea sono in testa insieme all’Egitto dove la stima è di una donna
su 5; nei prossimi 10 anni – secondo le stime – sarebbero a rischio 30 milioni di
bambine, per lo più tra 5 e 14 anni.
Situazione grave anche nei Paesi di emigrazione,
dove non esistono purtroppo stime quantitative, Europa inclusa dove si pensa che almeno
provvisoriamente ci sia un totale di 500 mila donne violate e 180 mila a rischio.
Per loro, al lavoro spesso ci sono le associazioni territoriali come succede in Italia
“Nos Otras”, associazione interculturale di donne, diretta dalla somala Laila Abi
Ahmed:
“Cosa succede oggi? Il rischio è che nella diaspora si cerchi
di mantenere, per non perdere la tradizione, alcune pratiche nefaste. Il nostro intervento
consiste nello stimolare l’autocoscienza della comunità con una campagna di sensibilizzazione.
Stiamo facendo anche un discorso di inclusione e di integrazione sociale, e nell’integrazione
rientra anche il nostro corpo, il ruolo della donna nella società e l’attenzione a
far sì che l’Occidente non ci consideri barbari”.
Gli ultimi dati forniti
alla Conferenza di Roma indicano che il sostegno alla pratica delle mutilazioni genitali
femminili in generale, nel mondo, è in declino; confermano inoltre che le legislazioni
da sole non bastano ma occorre un lavoro globale, come spiega Daniela Colombo
tra i promotori della Conferenza di Roma:
“Per aiutarle ad abbandonare la
pratica, bisogna dare loro i diritti che hanno, che poi coincidono con la soddisfazione
dei loro bisogni essenziali: quindi, il diritto alla salute, all’educazione, alla
proprietà della terra, all’istruzione delle bambine, ad un lavoro, un lavoro indipendente
e questo può essere fatto soltanto se si lavora nell’ambito di tutti i programmi e
progetti di sviluppo”.