Al quartiere Brancaccio di Palermo una chiesa dedicata al Beato Puglisi
E’ stata posta domenica, nel quartiere Brancaccio di Palermo, la prima pietra per
la costruzione di una chiesa dedicata al Beato Don Pino Puglisi. Sorgerà su un terreno
confiscato alla mafia e fungerà anche da Centro aggregativo per i giovani. Elvira
Ragosta ha chiesto al parroco di San Gaetano, don Maurizio Francoforte,
come la comunità di Brancaccio stia vivendo la realizzazione di quest’opera, tanto
voluta da don Pino:
R. - Adesso
iniziamo con la posa della prima pietra. Speriamo che al più presto possiamo iniziare
il vero e proprio cantiere per il nuovo complesso parrocchiale che don Pino pensava
come una dimensione familiare, dove ognuno potesse trovare il proprio posto e il proprio
spazio: dall’anziano al piccolo, dall’indigente alla persona che viene a collaborare,
ad aiutare, a sostenere chi si trova in difficoltà. È una realtà che prende a 360
gradi proprio la vita dell’uomo, la promuove, la porta verso Gesù Cristo, quella roccia,
quella pietra a fondamento della vita di ogni uomo.
D. - L’opera sorgerà su
un terreno di 11 mila metri quadrati confiscato alla mafia nel ’95 e assegnato in
comodato d’uso proprio alla parrocchia di San Gaetano...
R. - Il terreno fu
confiscato a Gianni Ienna, consultore in organico alla mafia, secondo quanto detto
dalle sentenze. Questo terreno, ai tempi in cui fu individuato da padre Pino - perché
è lui l’iniziatore di quest’opera - non era ancora confiscato.
D. - La prima
pietra è un blocco di marmo rosso con incisa una sigla – tre “P”: padre Pino Puglisi
– è una pietra che è stata benedetta anche da Papa Francesco. Quale e quanta è stata
l’emozione?
R. - È riuscita a farmi rimanere senza parole. Di solito non sono
il tipo che riesce a stare zitto, come mi ricorda qualcuno dei miei parrocchiani.
Però è stato più che emozionante, anche perché spesso nella catechesi faceva riferimento
a Cristo pietra e fondamento della costruzione di questo edificio che prima di tutto
è formato da pietre vive, noi cristiani, che non dobbiamo rimanere chiusi nella sacrestia,
ma essere missionari verso gli altri, e in particolare verso i più poveri. Questo
mi ha emozionato tantissimo, perché questo era lo stile e il modo di vivere la Chiesa
di don Pino, quello di essere realmente proteso verso gli ultimi e in difesa degli
ultimi, difendendoli e cercando di liberarli da quelle che sono le miserie umane.
Don Pino molto spesso viene circoscritto al “discorso mafia”; ma la sua attenzione
va dai terremotati del ’68 del Belice, agli ultimi. Ha avuto sempre attenzione nel
costruire una Chiesa fatta nella riconciliazione, nella pace, nell’accoglienza. Speriamo
che lo stile di questo nuovo complesso sia caratterizzato da queste idee portanti
di don Pino.
D. - E come vive la comunità della parrocchia di San Gaetano questa
posa della prima pietra, questo progetto?
R. - Stiamo cercando di fare, innanzi
tutto, una riflessione perché non rimanga soltanto un edificio, ma che diventi anche
la ricostruzione di una comunità che per tanti anni è stata guardata e additata come
la comunità che ha ucciso il proprio pastore e non come una comunità che ha ricevuto
la testimonianza di un martire. Quindi bisogna ricostruire, innanzi tutto, questo
punto di vista; poi ci stiamo preparando anche con la gioia di chi sa di avere tanta
attenzione, ma non intesa come giudizio ma come curiosità. E questo è proprio bello;
vedere soprattutto le nuove generazioni che stanno trovando in questa realtà uno stimolo
per testimoniare soprattutto l’appartenenza alla Chiesa e a Gesù Cristo. E il gesto
del Santo Padre, da questo punto di vista, non solo ci consola, ma soprattutto ci
stimola a incarnare quello che lui ha detto mercoledì scorso durante l’udienza.