Malaysia. Il governo: sentenza sul termine “Allah” non si applica alla Bibbia e alla
liturgia
Il divieto di uso della parola “Allah” vale solo per il settimanale cattolico Herald,
e non per altre pubblicazioni cristiane o per la Bibbia in lingua malese, chiamata
“Al-kitab”, ampiamente usata negli stati di Sabah e Sarawak: lo ha specificato il
vice ministro degli Interni malaysiano, Wan Junaidi Tuanku Jaafar. Come appreso da
Fides, è in corso nel paese un vivace dibattito pubblico sulla sentenza della Corte
di Appello che alcuni giorni fa ha proibito al settimanale l’uso del termine “Allah”
per riferirsi a Dio. Leader politici e religiosi, insieme a intellettuali e membri
della società civile, stanno cercando di spiegare il verdetto alla cittadinanza, per
evitare che gruppi radicali possano darne una interpretazione restrittiva, fomentando
conflitti o attacchi ai cristiani. Le comunità cristiane di diverse confessioni, infatti,
come reso noto dai vescovi, continueranno a usare il termine “Allah” per il culto
e nella Bibbia. La “Federazione Cristiana della Malaysia” (CFM) aveva messo in guardia
dal pericolo che il divieto di uso della parola “Allah” potesse avere “implicazioni
di vasta portata e interessare tutte le pubblicazioni cristiane stampate nella lingua
locale, il bahasa”. Questo, infatti, è proprio quanto chiedono apertamente gli attivisti
musulmani del gruppo “Perkasa” che hanno invocato l’estensione del divieto a “tutte
le Chiese e alle pubblicazioni cristiane di Sabah e Sarawak”. Un appello a “comprendere
la sentenza e a non strumentalizzarla” è giunto anche dalla “Associazioni degli avvocati
musulmani malesi”. Il presidente Zainur Rijal Abu Bakar ha confermato che “la sentenza
riguarda solo la pubblicazione del settimanale Herald, e niente oltre questo”. Sarebbe
un grave fraintendimento, prosegue l’Associazione, “ritenere che la decisione della
Corte ponga il divieto generale di usare la parola Allah a qualsiasi cittadino non
musulmano in Malaysia”.