Dopo la Cina, anche il Giappone guarda con interesse all'Africa
L’Africa sta assumendo sempre più importanza a livello geopolitico e i suoi tassi
di crescita economica attirano investitori e governi di ogni parte del mondo. Tra
questi c’è il Giappone, con un programma quinquennale di cooperazione del valore di
32 miliardi di dollari. Sull’interesse giapponese per l’Africa ascoltiamo, nell’intervista
di Davide Maggiore, Riccardo Barlaam, giornalista del “Sole 24 ore”:
R. - Dopo la
Cina anche il Giappone e la Corea del Sud hanno preso di mira l'Africa e le sue materie
prime, visto che quest’ultimo è un potenziale mercato di sbocco. I giapponesi, come
i cinesi, sono molto pragmatici: organizzano un incontro con questi leader africani
dove, come "sistema-Paese", mettono insieme quello che possono offrire. Quindi da
un lato, gli aiuti allo sviluppo e una serie di programmi di infrastrutture, e dall’altro
per il Giappone rientrano commesse, lavoro per le proprie aziende …
D. - Quali
sono le poste economiche ed anche geopolitiche in gioco per Tokyo?
R. - Il
Giappone somiglia molto all’Italia, non ha materie prime, energia … Nel post terremoto
di Fukushima, con l’uscita del nucleare, ha sempre più sete di energia e oltre a questo,
contro la concorrenza cinese - che ha anche prodotti di alta tecnologia che è sempre
stato il pane dell’industria giapponese - il Giappone cerca di allargare lo sguardo
verso nuovi mercati che non siano quelli occidentali, ma quelli africani che hanno
tutto da sviluppare e possono offrire molto.
D. - Sempre per quanto riguarda
il rapporto con la Cina, si differenzia in qualche modo l’approccio di Tokyo da quello
di Pechino?
R. - Il problema con i cinesi è stato più che altro legato alla
manodopera locale, che in Cina non manca. Infatti, quando loro decidevano di fare
un acquedotto, una strada, si spostavano con tutta la manodopera e si creava una serie
di problemi con le maestranze locali. In realtà, lo scambio culturale e lo sviluppo
umano, in qualche modo, è presente. L’ultimo programma quinquennale cinese prevedeva
degli scambi culturali molto importanti tra Africa e Cina. Ci sono università cinesi
dove sono presenti delle colonie vere e proprie di studenti africani che si trovano
lì per studiare. In ogni caso l’atteggiamento giapponese è molto diverso. Il loro
slogan è “mani nelle mani con un’Africa più dinamica”, come a dire andiamo avanti
insieme in questo continente che ha la crescita più rapida rispetto al mondo occidentale
alle prese con la crisi più grave dal Dopoguerra e anche altre aree in via di sviluppo.
D.
- Quindi è un modello che può beneficare entrambi gli attori coinvolti, sia il Giappone
che i vari Paesi del continente africano?
R. - Direi che è un modello complementare.
I cinesi restano sempre il primo partner in tutta l’Africa. Il continente intero fa
affari con un solo Paese. Un professore universitario di Tokyo ha detto che nelle
relazioni con l’Africa, se i cinesi sono i pesi massimi, i giapponesi sono pesi medi.
Quindi uno dei maggiori attori. Ricordo, ad esempio, che in una zona anglofona del
Camerun c’era un programma legato ad uno di questi programmi quinquennali in cui i
giapponesi avrebbero dovuto fare una struttura tecnologica legata alle telecomunicazioni
in una zona della foresta equatoriale. Lo hanno fatto. Di fatto i loro piani, i loro
programmi diventano cose concrete. E in tanti contesti, come le aree rurali dove si
parte da zero, possono dare un buon contributo allo sviluppo.