2013-10-19 16:09:16

A Milano giornata per la memoria di Lea Garofalo testimone di giustizia uccisa dalla 'Ndrangheta


A Milano centinaia di persone e tante associazioni impegnate nella lotta alla criminalità hanno partecipato sabato ai funerali di Lea Garofalo, la testimone di giustizia calabrese, rapita, torturata e bruciata dalla 'Ndrangheta alle porte di Milano nel 2009. Aveva scelto di denunciare le attività criminose della sua famiglia e del suo compagno Carlo Cosco, oggi all’ergastolo, per l’omicidio di Lea. Il suo corpo ritrovato da circa un anno, ha dunque una sepoltura grazie alla figlia Denise, anche lei sotto protezione. “E’ stata una martire e una testimone di libertà e giustizia” così don Luigi Ciotti fondatore dell’associazione Libera, nel suo intervento ai funerali della donna, durante i quali si è anche rivolto''ai tanti giovani inghiottiti dalle organizzazioni mafiose” che ha incitato a cercare la verità”. Noi non vi lasceremo soli'', ha detto Don Ciotti. Sentiamolo al microfono di Gabriella Ceraso: RealAudioMP3

R. – Lea ha seguito la voce della coscienza rompendo il “codice del silenzio” della Mafia e della ‘Ndrangheta. Con le sue piccole, grandi forze ha seguito un’idea di bene, e di giustizia. La sua è stata una scelta certamente di libertà. Credo si possa dire, oggi più che mai, che Lea è morta ma in realtà oggi è ancora viva e la sua memoria sfida tutti all’impegno, ci commuove e ci deve far muovere di più. Non basta commuoversi, infatti bisogna muoversi. Dopo quattro anni dalla sua uccisione siamo qui per sentirci vivi, per costruire intorno a noi vita, perché la morte sia sconfitta e vinca davvero la vita. In greco la parola testimone vuol dire martire: credo che si possa dire che si può essere uccisi per aver testimoniato la verità, per avere denunciato le arroganze, le violenze, i traffici… Lea in questo senso è martire della verità, testimone di verità.

D. – Anche se Lea non era nata sotto la Madonnina, non era di Milano, però Milano e la Lombardia testimoniano una presenza mafiosa ormai indiscutibile; anche questo è sotto i riflettori oggi…

R. – Lea era una calabrese che ha avuto la forza ed il coraggio di rompere certi vincoli, certi meccanismi. È cresciuta alcuni anni nella città di Milano e qui è stata uccisa. La figlia Denise ha voluto fortemente che qui salutassimo la sua mamma; oggi, Calabria e Milano nelle cose belle, importanti e positive si uniscono.

D. – Però è anche vero che ormai - e vogliamo ribadirlo – la Mafia non è una cosa solo della Calabria, così come la ‘Ndrangheta…

R. – La Mafia è da 60 anni presente al Nord, ci sono degli elementi insediati che hanno stabilito i loro principi, costruito le loro strutture e poteri. In questi giorni c’è stato il commissariamento di una cittadina vicino Milano per infiltrazione mafiosa. È quindi una storia che viene da lontano e che poi emerge di più con le vicende processuali; però non dimentichiamo che c’è un grande percorso, un grande cammino, anche per il lavoro della magistratura e delle forze di polizia che - con grande generosità ed impegno - hanno creato gli anticorpi per reagire a tutto questo. Non c’è città italiana che può dichiararsi esente; non c’è città del Nord che non sia consapevole che i problemi degli altri riguardano veramente tutti.

D. – A livello di giustizia la macchina sta progredendo sulle questioni di mafia o no?

R. – Si può fare e si deve fare certamente molto, molto di più: forse ci vogliono meno leggi e più legge, ci vuole una maggiore velocità della giustizia, ci vogliono meccanismi più forti nel contrasto della criminalità e della mafia non solo dal punto di vista della giustizia, ma anche delle politiche sociali, della cultura, del problema del lavoro nel nostro Paese. Non dimentichiamo che nel caso di Lea, c’è un ragazzo diventato collaboratore di giustizia e che ha permesso di ritrovare il corpo di Lea. Lui sta collaborando con la giustizia e posso dire anche con un profondo cambiamento interiore, un ragazzo molto coraggioso e sta aiutando a cercare la verità, a scavare in profondità.

D. – Carmine Venturino è il suo nome…

R. – Sì, Carmine Venturino. È arrivata qui in piazza a Milano una piccola corona di fiori dove c’è solo una sigla, ma noi sappiamo che quella sigla è di Carmine che dal carcere di Busto Arsizio ha voluto essere presente con un mazzo di fiori.

D. – C’è dunque chi va contro corrente e a questi va dato spazio, risalto, oltre che alla lotta. È giusto?

R. – E’ un grande grido, dobbiamo dire anche a coloro che fanno parte di organizzazioni criminali e sono stati cooptati nell’arco di questi anni, che hanno le loro responsabilità e devono essere aiutati a ritrovare un senso ed un significato.


A Lea e soprattutto alla sua giovane figlia Denise, si è rivolta sabato un’altra testimone di giustizia, Valeria Grasso, siciliana, imprenditrice che ha detto no alla mafia e che non smette di lottare seppur sotto protezione. Gabriella Ceraso l’ha intervistata:RealAudioMP3

R. – Se si hanno dei valori radicati dentro la propria anima, anzitutto, l’amore per la propria famiglia, l’amore per la propria terra, per la propria nazione, non si può non girare le spalle alla mafia, perché la mafia è tutto quello che di oscuro ci possa essere nella vita. Una madre, una donna, una persona libera che ama tutto quello in cui vive, non può che volere che questa mafia venga combattuta.

D. – Lea diceva, in una sua testimonianza, che in un programma di protezione non si vive ma si sopravvive. Com’è la vita da testimone di giustizia?

R. – La scelta che ha fatto Lea è una scelta molto importante, perché lei ha dovuto mettersi contro la sua stessa famiglia: questo è un passo ancora più forte. Lea è stata generosa nel dire che si sopravvive. Io credo che non si possa più parlare di vita, all’interno di un programma di protezione. Chi ha fatto questa scelta fa un percorso difficile, impegnativo, viene sradicato dalla propria vita, dalla propria terra, dai propri affetti e spesso con i propri figli, che sono vittime paganti. I momenti di scoraggiamento ci sono: quando ti vedi trattato come un pacco postale, col divieto di vedere i familiari, difficoltà nell’inserimento sociale; invece dovrebbero esserci supporti psicologici, assistenza nell’inserimento nelle scuole … Si tratta di famiglie che vanno accompagnate, vanno tutelate, vanno rispettate. Il programma di protezione va rivisto, lavoriamo insieme! Un testimone di giustizia veramente può fare tantissimo, perché è un esempio, è un incoraggiamento … Ma finché noi lamenteremo: “Le nostre vite non sono vite”, stiamo lavorando a vantaggio della mafia!

D. – Lei si è mai pentita di questa sua scelta?

R. – Non mi sono mai pentita di aver denunciato; lo farei alte cento volte.

D. – Lei non ha timore di parlare, di farsi vedere in volto, di continuare ad andare controcorrente, no?

R. – Assolutamente sì!

D. – Perché?

R. – Innanzitutto perché penso che tutti noi siamo in debito con coloro che sono morti per noi. Lea è morta anche per i miei figli: io stessa mi sento in debito nei confronti di Denise, e anzi, il mio – oggi – vuole essere un appello di mamma per cui in qualunque momento lei dovesse avere bisogno- siamo tutte e due testimoni- sappia che io sarò sempre a sua disposizione, per qualunque cosa. Dobbiamo impegnarci tutti!

D. – Qualcuno ha detto: “Le donne della mafia stanno diventando più forti e più dure degli uomini”. Altri, invece, guardando anche alle voci controcorrente, dicono: “No, solo attraverso figure femminili si può cambiare”, cioè le donne hanno una chiave in più per scardinare il sistema, lei che ne pensa?

R. – Più che di forza, io credo che noi donne abbiamo una sensibilità e un amore più forte, non fosse altro che perché mettiamo al mondo dei figli, e da quel momento, siamo pronte a mettere in gioco la nostra vita. Oggi più che mai, credo che anche le donne del mondo del malaffare si stiano rendendo conto che purtroppo non è una strada che spunta: i tempi stanno cambiando. La Magistratura sta facendo dei lavori importanti, la società civile non ha più voglia di subire: una buona parte di essa ha voglia di cambiamento, ha voglia di lottare e di conseguenza credo che queste donne si stiano rendendo conto che forse – forse! – anche per l’amore per i propri figli, è meglio stare dalla parte giusta.

D. – Lei, da lontano, come vive questa giornata milanese dedicata a Lea e alla sua esperienza?

R. – Ho provato una grande tristezza quando al telegiornale ho visto le immagini di Lea con sua figlia Denise, quando sono state ingannate e tutto quello che è successo… Ho provato una grande amarezza e un grande dolore. Non riesco a pensare poi a quello che sta provando questa ragazza, Denise. Quindi, oggi è una giornata molto triste per me. Però, allo stesso tempo, vorrei che Denise riceva anche da parte mia un grande “grazie”, e vorrei sollecitarla a continuare a combattere, perché il gesto di sua madre non sia un gesto che venga sminuito: perché Denise non sia mai lasciata sola, perché non sia abbandonata dallo Stato – cosa che si ripete troppo frequentemente … Ecco, il mio appello è questo: il mio appello è alla società civile, il mio appello è allo Stato. Che si smetta di parlare di legalità ma che si lavori per la legalità, e che si lavori affinché veramente chi ha dato la propria vita venga ricordato ogni giorno con l’impegno da parte dello Stato. Non soltanto con le commemorazioni.

Ultimo aggiornamento: 21 ottobre







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