2013-10-16 12:59:03

Usa, rischio "default". L'economista Carlà: c'è ancora margine per un accordo


Ultimi tentativi negli Stati Uniti per sbloccare l'impasse sullo shutdown e sull'aumento del tetto del debito. È ripartita la trattativa in Senato, a meno di 24 ore da un possibile default del Paese. Un'intesa a Washington sembra vicina, ma si continua a lavorare sui dettagli dell'accordo che punta ad aumentare il tetto del debito fino al 7 febbraio e a finanziare il governo fino al 15 dello stesso mese, creando contemporaneamente una commissione per la riduzione del deficit. Dopo la marcia indietro della Camera per due volte e la sospensione dei negoziati, nelle casse del Tesoro stanno per rimanere 30 miliardi di dollari. Oggi, è in programma un incontro fra il president,e Barack Obama, e il segretario al Tesoro, Jack Lew. Intanto, l’agenzia Fitch avverte: il rating di "tripla A" potrebbe essere tagliato. Per il momento, comunque, lo mette sotto osservazione. Sulle ragioni dello shutdown, Giada Aquilino ha intervistato l’economista Francesco Carlà:RealAudioMP3

R. – La ragione è che c’è uno scontro politico radicale tra repubblicani e democratici, un genere di scontro che avviene molto spesso, si ripete ciclicamente, in particolare quando la presidenza è democratica e il Congresso è repubblicano, come in questo caso tra Obama e i repubblicani.

D. – Cosa c’è all’origine?

R. – All’origine, ci sono due visioni completamente diverse su come gestire le finanze pubbliche e naturalmente anche a quali spese pubbliche dare priorità. I democratici sono a favore di un maggiore welfare negli Stati Uniti – in questo caso l’"Obama Care", la riforma della Sanità di Obama, è al centro della questione – e i repubblicani invece sono per una visione di privatizzazione di questo genere di attività. Lo scontro nasce da qui.

D. – Se non dovesse arrivare l’accordo, gli Stati Uniti – per la prima volta nella storia – non potrebbero più assicurare tutti i pagamenti. Sarebbe deflagrazione mondiale?

R. – Le conseguenze mondiali sarebbero molto pesanti. In tempi completamente diversi, la crisi del ’29 è arrivata praticamente in tutti gli angoli del mondo, facendosi sentire a distanza di anni e non è stata estranea poi alla Seconda Guerra mondiale. Ma io non credo che si arriverà a questo. Sicuramente, si troverà un accordo, perché c’è più tempo di quello che si pensi. Molti ritengono che la scadenza sia questa settimana, ma in realtà il limite finale è il 15 novembre, quando eventualmente gli Usa non pagherebbero i primi interessi sul debito e quindi farebbero questo famoso default.

D. – L’impasse politica a Washington rende più forte il timore per un downgrade degli Stati Uniti?

R. – Teniamo presente che intorno a tutto questo clamore abbiamo un Paese che ha ancora la tripla A. Se consideriamo invece il rating di altri Paesi mediterranei, come l’Italia o la Spagna, lo scenario dovrebbe essere molto più tranquillizzante. Ma negli States ci sono due cose diverse, rispetto a ciò che succede in Europa: da un lato, il tetto, il cosiddetto ceiling del bilancio, del deficit, è stabilito dalla legge e quindi non può essere modificato, se non si modifica la legge. Dall’altro, c’è questo scontro radicale tra la visione delle faccende economiche pubbliche da parte dei repubblicani e da parte dei democratici.

D. – E quanto valgono gli avvertimenti di Fitch sul possibile taglio della tripla A?

R. – Poco, perché anche le agenzie di rating hanno dimostrato in questi anni di avere varie visioni di scenari economici e finanziari dei Paesi. Un Paese come l’Italia può essere trattato peggio, viene spesso trattato peggio, di un Paese come gli Stati Uniti.

D. – E se invece si arrivasse a un accordo, come ripartirebbe la macchina dell’amministrazione americana?

R. – Da questo punto di vista, l’impatto dello shutdown sull’economia, naturalmente, dipende dalla durata. Potrebbe diventare grave, se dovesse protrarsi ancora per un po’: potrebbe costare un pezzo del Pil degli Stati Uniti. Io credo, invece, che si troverà un accordo in tempi abbastanza brevi. Le conseguenze sui mercati non ci sono state fino ad ora praticamente e anche quelle sull’economia americana sarebbero minime.







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