Iraq: sanguinoso attentato nel giorno della Festa del sacrificio
12 morti, tra cui 3 bambini, e oltre 20 feriti. E’ il tragico bilancio dell'attentato
di ieri mattina all'esterno di una moschea sunnita di Kirkuk, nel nord dell’Iraq.
La bomba è esplosa mentre i fedeli stavano uscendo dal luogo di culto, affollatissimo
per la preghiera per l'Eid al-Adha, la Festa del Sacrificio. L’episodio è l’ultimo
una lunga scia di sangue che ha causato oltre 5.000 morti dall'inizio dell'anno, 310
solo nei primi 15 giorni del mese di ottobre. Sulla situazione attuale nel Paese del
Golfo, Salvatore Sabatino ha intervistato don Renato Sacco, di Pax Christi:
R. – Paura,
sconforto, mancanza di speranza: non si vedono vie di uscita. Credo che la gente che
vive lì, dai contatti che ho, stia vivendo in questa situazione. In più, c’è anche
la Siria vicino e questo basta per far capire il clima pesante, molto pesante, che
si vive.
D. – Tutta questa situazione si ripercuote anche su quella che è
l’attività del parlamento, che non ha più approvato provvedimenti di rilievo da anni,
per quanto riguarda la sicurezza, la corruzione. C’è la mancanza di molti servizi,
per cui tutto questo poi ricade sulla popolazione...
R. – Certo, i nostri amici,
gli amici di Pax Christi che abbiamo lì, ci dicono che è in atto una lotta di potere.
Il potere, quindi, si combatte sulla pelle dei più deboli. Certo, non so quale può
essere il futuro. Io so che gli amici che abbiamo lì cercano di lavorare con la gente,
ma anche con i responsabili, perché si trovi un accordo per il bene comune. Ma quando
prevale la sete di potere, per di più "colorata" magari di religione, è un disastro.
D.
– Questa sete di potere vede due protagonisti, i sunniti e gli sciiti, e l loro divisione
sta assumendo le sembianze di una vera e propria guerra fratricida. Perché quest’odio
così profondo?
R. – Confesso che anch’io non riesco a trovare delle risposte.
Leggo i dati, il perché. Quando l’odio s’impadronisce del cuore delle persone, di
chi ha delle responsabilità, si vede solo buio, si vede solo la distruzione e la vendetta.
Ripeto: credo sia in gioco anche tutto un equilibrio della zona. L’Iran, la Siria,
i profughi, Israele, la Palestina: tutto questo rischia di essere scombussolato e
quindi per affermare la propria forza si ragiona con le bombe, con le esplosioni e
si lavora anche molto sui kamikaze, colorando di religione un odio che non c’entra
niente con la religione. Certo, il risultato è una tragedia, se si pensa che solo
in questi primi giorni di ottobre, sono già centinaia le persone uccise.
D.
– Che ruolo possono avere i cristiani in questa difficile normalizzazione, visto il
ruolo che hanno sempre ricoperto nei decenni passati?
R. – Sicuramente, hanno
un ruolo di pacificazione, perché sono piccoli, sono deboli, non hanno armi, non hanno
esercito e quindi pagano un conto molto alto, ma ricordano a tutti che solo la debolezza,
la mitezza possono dare speranza a questo Paese. L’amico Patriarca, Louis Sako sta
lavorando molto su questa strada del dialogo, del rispetto delle diversità, del capire
che le diversità etniche, culturali e religiose possono essere la via di salvezza
e la speranza per questo Paese, e non la cancellazione di queste diversità. E’ l’esatto
contrario. Il Patriarca, nonostante questa situazione, ha mandato una lettera per
chiedere che i cristiani rientrino, perché solo rientrando questa pluralità può essere
forte. Vorrei anche aggiungere – è successo proprio alla fine di settembre – che non
i cristiani, ma la minoranza di persone che vogliono la pace, hanno dato vita ad un
Forum internazionale dei giovani, un Forum sociale in Iraq. Pensiamo a Baghdad: più
di tremila partecipanti iscritti, giovani, in nome della pace, della non violenza,
in quella situazione, senza servizi di sicurezza a confrontarsi sul problema delle
minoranze, della libertà di espressione, dei diritti umani. Io credo che anche questi
giovani, che hanno sfidato la paura, siano per noi un segno di speranza. E’ stato
promosso dall’Associazione “Un Ponte per Baghdad” e credo che anche questi segni di
speranza, di credenti e non credenti per la pace, siano un motivo su cui dobbiamo
investire, altrimenti è una tragedia.