Il Papa: non basta la religiosità perfetta per salvarsi, cristiani si liberino da
“sindrome di Giona”
Bisogna combattere la “sindrome di Giona” che ci porta all’ipocrisia di pensare che
per salvarci bastino le nostre opere. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella
Messa di lunedì mattina alla Casa Santa Marta. Il Papa ha messo in guardia da “un
atteggiamento di religiosità perfetta”, che guarda alla dottrina ma non si cura della
salvezza della “povera gente”. Il servizio di Alessandro Gisotti:
La “sindrome
di Giona” e il “segno di Giona”. Papa Francesco ha incentrato la sua omelia su questo
binomio. Gesù, ha osservato, parla nel Vangelo odierno di “generazione malvagia”.
E’ molto forte la sua parola. Ma, ha avvertito il Papa, non si riferisce alla gente
“che lo seguiva con tanto amore”, bensì ai “dottori della legge” che “cercavano di
metterlo alla prova e farlo cadere in trappola”. Questa gente, infatti, “gli chiedeva
segni” e Gesù risponde che solo gli verrà dato “il segno di Giona”. C’è però, ha ammonito
Papa Francesco, anche la “sindrome di Giona”. Il Signore gli chiede di andare a Ninive
e lui fugge in Spagna. Giona, ha detto, “aveva le cose chiare”: “la dottrina è questa”,
“si deve fare questo” e i peccatori “si arrangino, io me ne vado”. Quelli che “vivono
secondo questa sindrome di Giona”, ha aggiunto il Pontefice, Gesù “li chiama ipocriti,
perché non vogliono la salvezza” della “povera gente”, degli “ignoranti” e “peccatori”:
“La
‘sindrome di Giona’ non ha lo zelo per la conversione della gente, cerca una santità
– mi permetto la parola – una santità di ‘tintoria’, tutta bella, tutta benfatta,
ma senza quello zelo di andare a predicare il Signore. Ma il Signore di fronte a questa
generazione ammalata dalla ‘sindrome di Giona’ promette il segno di Giona. L’altra
versione, quella di Matteo, dice: Giona è stato dentro la balena tre notti e tre giorni,
riferimento a Gesù nel sepolcro – alla sua morte e alla sua Risurrezione – e quello
è il segno che Gesù promette, contro l’ipocrisia, contro questo atteggiamento di religiosità
perfetta, contro questo atteggiamento di un gruppo di farisei”.
C’è una
parabola nel Vangelo, ha soggiunto il Pontefice, che dipinge benissimo questo aspetto:
quella del fariseo e del pubblicano che pregano nel tempio. Il fariseo, “tanto sicuro
di se stesso”, davanti all’altare ringrazia Dio per non essere come il pubblicano
che invece solo chiede la pietà del Signore, riconoscendosi peccatore. Ecco allora
che “il segno che Gesù promette per il suo perdono, tramite la sua morte e la sua
Risurrezione”, ha detto il Papa, “è la sua misericordia”: “Misericordia voglio e non
sacrifici”:
“Il segno di Giona, il vero, è quello che ci dà la fiducia di
essere salvati per il sangue di Cristo. Quanti cristiani, quanti ce ne sono, pensano
che saranno salvati soltanto per quello che loro fanno, per le loro opere. Le opere
sono necessarie, ma sono una conseguenza, una risposta a quell’amore misericordioso
che ci salva. Ma le opere sole, senza questo amore misericordioso non servono. Invece,
la ‘sindrome di Giona’ ha fiducia soltanto nella sua giustizia personale, nelle sue
opere”.
Gesù parla dunque di “generazione malvagia” e “alla pagana, alla
regina di Saba, quasi la nomina giudice: si alzerà contro gli uomini di questa generazione”.
E questo, ha evidenziato, “perché era una donna inquieta, una donna che cercava la
saggezza di Dio”:
“Ecco, la ‘sindrome di Giona’ ci porta alla ipocrisia,
a quella sufficienza, ad essere cristiani puliti, perfetti, ‘perché noi facciamo queste
opere: compiamo i comandamenti, tutto’. E’ una grossa malattia. E il segno di Giona,
che la misericordia di Dio in Gesù Cristo, morto e risorto per noi, per la nostra
salvezza. Sono due parole nella prima lettura che si collegano con questo. Paolo dice
di se stesso che è apostolo non perché ha studiato questo, no: apostolo per chiamata.
E ai cristiani dice: ‘Siete voi chiamati da Gesù Cristo’. Il segno di Giona ci chiama:
seguire il Signore, peccatori, siamo tutti, con umiltà, con mitezza. C’è una chiamata,
anche una scelta”.
“Approfittiamo oggi di questa liturgia – ha concluso
il Papa – per domandarci e fare una scelta: cosa preferisco io? La sindrome di Giona
o il segno di Giona?”