Lampedusa. Mons. Montenegro: la voglia di vivere dei migranti non sia considerata
reato
In Italia, ancora in primo piano la situazione a Lampedusa, dopo il naufragio della
scorsa settimana, di cui sono ormai oltre 300 le vittime accertate. Martedì la Commissione
giustizia del Senato ha dato il via libera ad un emendamento che, se approvato in
via definitiva, cancellerebbe il reato di immigrazione clandestina. Davide Maggiore
ha intervistato mons. Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, appena
rientrato da Lampedusa:
R. - Io spero
che la voglia di vivere, che esprimono tutti questi fratelli che si mettono sul barcone
per tentare di avere una vita migliore e diversa, non sia considerata un reato. La
voglia di vivere è un diritto di ogni uomo! E’ strano che noi li condanniamo perché
loro vorrebbero un futuro diverso e una speranza di vita nel cuore. Quindi non posso
se non condividere questa apertura che spero davvero porti a qualcosa di nuovo e di
diverso.
D. - Quali potrebbero essere altri passi nella direzione che lei
auspica?
R. - Io non sono un tecnico, per cui non sono in grado di dare linee
precise. Io dico: se sta avvenendo questa tragedia come è avvenuta, se altre tragedie
ce ne sono state e forse noi non ne siamo venuti a conoscenza, probabilmente è perché
c’è una legge che permette che succedano questi fatti. Io ho visto le salme, ho visto
i volti di quei bambini… Queste vite spente devono far riflettere: qualcosa deve cambiare!
L’Europa non si può reggere solo sull’economia e sono convinto che l’economia non
riuscirà a fare un’Europa unita. Come ci dice il Papa, è l’uomo al centro: è intorno
all’uomo che bisogna ricucire una rete, una tela di vita nuova.
D. - Lei ha
citato l’Europa: si avvicina il semestre di presidenza italiano. Lei pensa che questa
possa essere l’occasione per l’Italia per sollevare questo tema anche a livello delle
istituzioni europee?
R. - Io spero di sì. Ieri ero presente quando Barroso
ha fatto il suo intervento. Lui si è impegnato affinché le nazioni europee siano più
attente a questo problema. E’ un auspicio, un desiderio… Credo che questo sia legato
ad un futuro diverso dell’Europa. L’Europa, se non sa guardare soprattutto ai poveri,
come può sperare in un futuro?
D. - In queste ore lei è riunito insieme agli
altri vescovi della Sicilia, a Siracusa, e state affrontando anche questo tema. Quale
contributo lei porta in particolare?
R. - Ciò che io ho visto, perché anche
gli altri lo vedano attraverso i miei occhi! Non è una pretesa, ma sono un testimone,
che è stato presente in questi giorni là. Il mio auspicio è che come desideriamo che
un’Europa si unisca per poter affrontare il problema dell’immigrazione, anche le diverse
diocesi si uniscano per creare una rete diversa di attenzione, di assistenza, di vicinanza.
A Lampedusa si è tenuto l’incontro dei direttori delle Caritas e l’impegno è proprio
questo: una Chiesa che si unisce per farsi forte nel servizio dell’amore, che è chiamata
a fare dal Vangelo.
D. - Il ruolo della Chiesa può essere prezioso anche dal
punto di vista della testimonianza e dell’appello morale?
R. - Noi questa affermazione
la facciamo da sempre e le tragedie stanno continuando ad avvenire! Si parla di 20
mila morti nel Mediterraneo… Ma anche quando dovesse morire un solo uomo, dovremmo
interrogarci tutti quanti, credenti e non credenti. E non possiamo permettere che
questa tomba liquida, che è il Mar Mediterraneo, debba contenere sempre più
cadaveri e più morti.