Amnesty: cessino le violenze contro i copti in Egitto
Amnesty International ha presentato un Rapporto sulle violenze subite dalle comunità
cristiano copte, nello scorso mese di agosto. Dopo gli sgomberi di due manifestazioni
in favore del deposto presidente Morsi, i copti egiziani sono stati oggetto di attacchi
che hanno provocato la morte di 4 persone e il danneggiamento di 43 chiese e quasi
200 abitazioni private. Elvira Ragosta ne ha parlato con Riccardo Noury,
direttore della Comunicazione di Amnesty Italia:
R. - Ci sono
stati attacchi con armi da fuoco, con tubi metallici, con coltelli, grida contro coloro
che definiscono “cani cristiani”… Chi ha eseguito questi attacchi? Chi li ha tollerati?
É tutto molto chiaro e chiamano in causa le nostre denunce tanto contro la Fratellanza
musulmana - i cui aderenti che hanno preso parte a questi attacchi e i cui leader
li hanno stimolati - quanto contro le forze di sicurezza egiziane che non sono intervenute.
È come se i copti dovessero essere i capri espiatori per qualcosa in cui non c’entrano
nulla, e cioè con le centinaia di morti causate dalle forze di sicurezza egiziane
al Cairo. Quella dei copti che sono in Egitto vittime di attacchi, di violenze, di
discriminazioni, come se fossero la causa di tutto ciò che non va in quel Paese, è
una storia molto lunga. Occorre che la discriminazione e la violenza nei confronti
dei copti cessi e che le parole di condanna delle autorità egiziane, la promessa di
ricostruire gli edifici distrutti vengano seguite da misure concrete. Intanto, deve
cambiare questa modalità molto blanda della riconciliazione con cui cerca sempre di
risolvere le dispute per motivi religiosi.
D. - Ci sono delle sedute di riconciliazione
per distendere la tensione…
R. - Sì, distenderanno anche la tensione, può essere
che in alcuni casi riescano a favorire una convivenza pacifica. Però, poi, se il risultato
complessivo è quello che gli esecutori materiali degli attacchi e i loro mandanti
rimangano impuniti, che la retorica anticristiana prosegua e che non vengano presi
provvedimenti per garantire l’incolumità fisica dei fedeli copti e la protezione dei
loro luoghi di culto, queste sedute di riconciliazione mostrano la corda e non sono
un meccanismo assolutamente adeguato per proteggere il diritto alla libertà di religione
e la possibilità per una minoranza religiosa di vivere in pace e in sicurezza nel
suo Paese.
D. - Minoranza copta che già deve alla comunità musulmana egiziana
una tassa per avere salva la vita…
R. - Sì, questo fa parte della discriminazione
che è di leggi, di prassi, di abitudini, tasse, balzelli, ostacoli burocratici di
altra natura che impediscono o rendono comunque molto difficile poter costruire luoghi
di preghiera o ripristinarli quando non sono più in funzione. È una lunga storia:
da Mubarak al Consiglio superiore delle forze armate, poi a Morsi e di nuovo ai militari…
La situazione purtroppo non è cambiata. Sotto la presidenza Morsi, quando la Fratellanza
musulmana ha avuto il controllo - di fatto - dalle istituzioni egiziane, la retorica
e i soprusi sono stati molto più evidenti.
D. - Dopo questa ondata di violenza
nei confronti dei copti, come vive la comunità cristiano-copta in Egitto?
R.
- Vive nella paura. Noi abbiamo ascoltato, durante i sit-in pro Morsi della
metà di agosto, parole incendiarie in cui i copti venivano accusati di stare dalla
parte dell’esercito, di essere scesi in piazza con loro, di averlo invocato e di averlo
accolto.