Afghanistan: ex "signore della guerra" Dostum si scusa per i suoi crimini e si candida
a vicepresidente
Abdul Rashid Dostum, ex "signore della guerra" dell’Afghanistan riconvertito ora alla
politica, ha pronunciato in questi giorni un inaspettato "mea culpa" pubblico, chiedendo
scusa agli afghani per le sofferenze che ammette di aver “potuto causare” durante
la guerra civile, soprattutto nei sanguinosi anni '80 e '90 del secolo scorso. Nei
giorni scorsi, Dostum aveva formalizzato le proprie ambizioni politiche, con l'inserimento
nella corsa alle presidenziali del 2014 della sua candidatura come vice di Ashraf
Ghani Ahmadzai, già ministro delle Finanze. In passato, aveva appoggiato sia la presidenza
di Hamid Karzai, sia l’opposizione. Sulle ragioni della nuova strategia di Dostum,
Giada Aquilino ha intervistato Marco Lombardi, docente di Sociologia
all’Università Cattolica di Milano e profondo conoscitore dell’Afghanistan:
R. – Il progetto
elettorale che ha Dostum è evidente: visto che sta per correre di fatto contro Karzai
nelle prossime elezioni, è chiaro che deve riaffacciarsi al mondo con una veste diversa
rispetto a quella con cui è stato conosciuto negli ultimi trent’anni. E’ uno dei "signori
della guerra"’, cheha combattuto 30 anni con i mujaheddin, negli anni Ottanta
contro i sovietici e poi i talebani. Ha ucciso migliaia di talebani nelle fosse comuni
nel nordest del Paese. Quindi, è un personaggio “a tutto tondo” della guerra Afghanistan,
per intenderci.
D. – Tra l’altro, non è la prima volta che in Afghanistan
un "signore della guerra" passi alla politica…
R. – Non è la prima volta in
Afghanistan. Abbiamo avuto governatori, abbiamo avuto ministri che da "signori della
guerra" hanno occupato posti di prestigio e di rilievo nel governo afghano. Ma direi
che cambia la storia, cambiano i ruoli. Poi, però, bisogna anche poter giudicare l’onestà
con la quale si fanno queste cose. Inoltre, potranno esserci dei problemi: Dostum
è uzbeco e gli uzbechi rappresentano il 9%, più o meno, della popolazione afghana.
Sono circa tre milioni e Dostum è il leader del Movimento nazionale islamico, chiamato
Junbish (vuol dire “movimento” nella lingua locale). Ora non so quanto una
rappresentanza così forte di una minoranza delle 14 principali che costituiscono l’Afghanistan
possa essere garanzia di unità nazionale.
D. – Come appare oggi il panorama
politico afghano?
R. – Estremamente difficile perché, continuando la necessità
di una unità del Paese, sono scettico che tale unità ci possa essere. D’altra parte,
però, l’Afghanistan non potrà essere uno Stato come quello che noi intendiamo, perché
è frammentato appunto in almeno 14 etnie principali differenti. Quindi, probabilmente
bisogna pensare a una forma diversa di Stato, non così fortemente centralizzata come
quella che abbiamo in mente. Se questa è la linea, in qualche modo Dostum la interpreta,
ma la confusione potrebbe essere quella relativa al fatto di interpretarla volendo
andare al potere come uomo di uno Stato centralizzato, facendo solo gli interessi
di una parte.
D. – Il processo di disimpegno militare internazionale, iniziato
nel 2011, va verso la conclusione, il prossimo anno. Che fase si apre per l’Afghanistan?
R.
– Deve camminare con le sue gambe. Sarà estremamente difficile, perché andando via
i militari e andando via tutto quello che sta dietro, cioè i flussi economici che
hanno sostenuto il Paese in questo momento, si avrà sicuramente una crisi economica,
che non faciliterà l’autonomia politica del Paese.