Il dicastero per i Laici per il 25.mo della "Mulieris dignitatem": Dio affida l'essere
umano alla donna
Un dialogo “nella Chiesa e come Chiesa” sulla Lettera Apostolica Mulieris dignitatem
del Beato Papa Giovanni Paolo II, pubblicata il 15 agosto 1988. A 25 anni dal documento
sulla dignità e la vocazione della donna, il Pontificio Consiglio per i Laici, presieduto
dal cardinale Stanislaw Rylko, ne promuove in Vaticano una rinnovata riflessione con
il Seminario di studio “Dio affida l’essere umano alla donna”, da domani al 12 ottobre
a Palazzo San Calisto. All’evento partecipano esperti e rappresentanti di associazioni
e movimenti ecclesiali, provenienti da 25 Paesi e da diverse aree professionali: teologi,
filosofi, educatori, docenti universitari, giornalisti, storici, medici, che sabato
saranno ricevuti in udienza da Papa Francesco. Un’occasione, il Seminario, per “impegnarsi
a fondo e dare il proprio contributo per chiarire il valore unico del ruolo della
donna nella salvaguardia dell’humanum”. Ce ne parla Ana Cristina Villa Betancourt,
responsabile della Sezione donna del Pontificio Consiglio per i Laici, intervistata
da Giada Aquilino:
R. – Crediamo
davvero che la Mulieris dignitatem, oltre ad essere molto importante, perché
è il primo documento del magistero pontificio totalmente dedicato alla questione della
donna, sia ricchissima nel presentare l’antropologia cristiana in modo molto accessibile.
Vediamo quindi la Lettera Apostolica come un importante faro illuminante sulle questioni
che stanno sorgendo sempre più urgenti, che richiedono sempre più un intervento dei
cristiani.
D. – Quali sono stati fin qui i frutti spirituali e pastorali della
Lettera apostolica? E quindi com’è cambiato in questi anni il ruolo della donna nella
Chiesa?
R. – Credo che i frutti spirituali siano stati molti e molto importanti,
perché già il fatto che esista un documento di riferimento per tutte le questioni
della donna nella Chiesa e nella società, nel Magistero pontificio, rappresenta veramente
un fondamento. Pensiamo, però, che ci sia ancora molto da fare: da una parte in ambito
sociale per via della crisi antropologica sempre più grave, sempre più seria che viviamo,
e dall’altra anche nella Chiesa. Pensiamo poi ai richiami costanti che sta facendo
Papa Francesco per una riflessione sul ruolo della donna nella Chiesa.
D. –
Ha citato le sollecitazioni di Papa Francesco, che sono state diverse. Per esempio,
a inizio Pontificato, ha chiamato tutti - uomini e donne - a essere custodi del Creato.
Cos’ha inteso dire, secondo lei, il Papa?
R. – Per noi, sentire questa frase
è stato molto interessante: stavamo già lavorando alla preparazione di questo Seminario,
il cui titolo è preso dalla Mulieris dignitatem, in cui Giovanni Paolo II dice
che Dio affida l’essere umano alla donna, proprio per la sua speciale capacità e forza
dell’amore. Ci sembrava di vedere una sintonia in questo richiamo alla custodia dell’essere
umano, che è un compito di tutti, in cui la donna però forse ha un ruolo speciale,
un suo ruolo specifico da dover giocare. Vogliamo allora mettere in risalto questo
aspetto.
D. – Non a caso Papa Francesco più volte – per esempio, durante il
viaggio di ritorno da Rio, ma anche recentemente alle udienze – ha parlato di Chiesa
“come madre” e ha anche pregato nella Solennità dell’Assunzione affinché la Chiesa
approfondisca e capisca di più l’importante ruolo della donna. Allora, come accogliere
le parole del Santo Padre?
R. – E’ vero che la donna con questa identità materna,
in tutto quello che fa, può dare tanto di se stessa, se non perde contatto con questa
sua maternità in tutto quello che fa, perché maternità indica in primo luogo la madre
che cura, che custodisce i figli da quando sono nel suo grembo e poi sempre nella
loro vita. Anche la maternità però è una dimensione femminile da esprimere in ogni
campo in cui è presente la donna. Una delle analisi, per esempio, che faremo al Seminario
è che di fatto in questi 25 anni la presenza delle donne nella società, in tutti gli
ambiti, è aumentata. Questa è una ricchezza, è un passo avanti da salutare con gioia.
Vorremmo chiedere, però, se sia presente e inserita in questi ambiti con il suo ruolo
specifico di donna. Forse, tante volte, la società ci chiede di rinunciare a tale
specifico femminile per essere presenti, inserite ed entrare in una certa mentalità
competitiva.
D. – Proprio perché gli spunti di Papa Francesco sono stati tanti,
anche nell’intervista alla "Civiltà Cattolica", facciamo qualche esempio: cosa è mancato
fino ad ora e cosa deve cambiare?
R. – Si vede da quanta inquietudine suscitano
le parole di Papa Francesco, quando lui richiama ad una maggiore presenza. C’è, infatti,
il senso che ancora manchi qualcosa: mancano, forse, una maggiore presenza e un maggior
dialogo in certi posti dove si prendono le decisioni. Manca il contare su un dialogo
comune e reciproco tra uomini e donne, quando invece nei documenti si auspica che
ci sia sempre di più nella Chiesa.
D. – La Mulieris dignitatem afferma
che l’essere umano esiste “sempre e solo come femmina e come maschio”. Che peso assume,
quindi, questa affermazione nell’attuale dibattito culturale e antropologico?
R.
– Questo è uno dei temi che vorremmo affrontare quando vediamo le molte facce della
crisi di oggi, per cui abbiamo inserito ad esempio il problema della famosa "ideologia
del gender", che sta cercando di farci pensare che l’esistere come uomo o come donna
in realtà sia una costruzione sociale e non una questione fondamentale dell’identità
di ogni persona. Vogliamo allora ricordare la ricchezza dell’antropologia cristiana.
Questo, senz’altro, aiuterà nel coinvolgimento delle persone che devono lavorare in
tal senso.
D. – Tra i temi del Seminario, c’è la crisi d’identità dell’uomo
e della donna, ma si parla pure di aborto, contraccezione, fine vita. Che quadro ne
esce, dunque, della donna?
R. – Basta accendere la televisione per vedere tante
cose che non vanno nella vocazione della donna, ma anche nella vocazione dell’uomo,
essendo poi intrinsecamente legate. Si vede che abbiamo perso un certo senso di chi
siamo, chi dobbiamo essere e come dobbiamo vivere insieme.
D. - Il cosiddetto
"femminicidio", le persecuzioni religiose, lo sfruttamento sessuale, ma anche l’oltraggio
alla dignità delle donne, che può andare dalla violenza fisica a quella morale. Come
affrontare questi temi alla luce della Mulieris dignitatem?
R. – Ci
sono sempre più esperti in ambito cattolico, ma anche fuori, che stanno analizzando
con occhi molto critici la rivoluzione sessuale e il cambiamento antropologico che
essa ha portato: il cambiamento dell’immagine che la donna ha di sé, dell’immagine
che l’uomo ha di sé e dell’immagine del rapporto reciproco. Credo che questo sarà
un altro momento importante del Seminario, quando ci chiederemo cosa è successo. La
rivoluzione sessuale non è solo una rivoluzione delle abitudini esterne, ma qualcosa
che cambia l’essere umano antropologicamente. Tra le persone che parteciperanno al
Seminario, abbiamo poi donne che sono leader di diversi progetti per la protezione
di altre donne, vittime di violenza. In situazioni di conflitto, infatti, tante volte
le donne soffrono la violenza sessuale in primo luogo, ma vengono anche colpite dalla
povertà e dal conflitto stesso. Sono loro, infatti, che devono cercare di tenere insieme
una situazione che sta collassando. Parlavo in questi giorni con una di queste donne,
che parteciperà ai lavori, e mi diceva: “Le luci che mi dà il Magistero pontificio
sono quelle che poi vado a trasmettere alla donna che ha sofferto, che sta cercando
di rimettere insieme la propria vita, dopo una situazione di conflitto, in cui è stata
vittima di violenze di tutti i tipi”. Per me, è stato molto toccante vedere come tutto
questo sia vita: queste parole non sono parole morte, sono parole che diventano vita
e che illuminano la strada di persone che devono rispondere a situazioni drammatiche.
D. – C’è un caso particolare che lei ricorda?
R. – Ho conosciuto recentemente
la situazione di una fondazione in aiuto alle vittime della violenza in Colombia,
che è il mio Paese, grazie ad una donna che cerca di andare in soccorso a tutte le
vittime. La maggioranza di quelle che la fondazione aiuta a rimettere in sesto la
propria vita è rappresentata da donne che devono portare avanti da sole le famiglie,
ferite da situazioni di conflitto molti gravi. Sono vittime della violenza della guerriglia
delle Farc, ma non solo. Il conflitto in Colombia, infatti, è complesso e ci sono
vittime da molte parti. Normalmente, sono donne sfollate, che hanno dovuto lasciare
le loro terre e che si trovano in città povere con i loro bambini, mentre i mariti
sono andati a combattere o sono morti in combattimento.