Lampedusa: 181 le vittime recuperate finora. Il Papa invia sull'isola mons. Krajewski
Un vertice europeo dei responsabili dell'immigrazione è stato chiesto dalla Francia
dopo la tragedia avvenuta al largo di Lampedusa. Sull’isola arriverà, nei prossimi
giorni, anche il presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso. E mentre
a livello italiano ed europeo si discute di possibili cambiamenti alle normative,
sono ancora in corso le ricerche dei corpi delle vittime, il cui numero accertato
è destinato ad aumentare notevolemente. Papa Francesco ha inviato a Lampedusa il suo
elemosiniere, mons. Konrad Krajewski, per portare la sua solidarietaà. Mons.Krajewski
ha anche benedetto sul molo le salme recuperate oggi dai sommozzatori Il servizio
di Davide Maggiore:
Barroso sarà
a Lampedusa mercoledì: è stato il governo italiano a chiedergli di raggiungere l’isola,
“per rendersi conto di persona”, ha spiegato il presidente del Consiglio Letta. Un
appello all’Unione Europea è arrivato anche dalla Francia: il primo ministro Jean-Marc
Ayrault ha chiesto una riunione dei responsabili dell’immigrazione, sostenendo che
“tocca a loro” trovare “la risposta giusta”. Ma già martedì i ministri degli Interni,
valuteranno la possibilità di accordi bilaterali coi Paesi di provenienza dei migranti,
in modo da creare percorsi legali per gli ingressi. “La legge sull’immigrazione non
può essere punitiva”, ha detto in un’intervista anche il ministro italiano per l’Integrazione,
Cécile Kyenge, che ha incontrato i sopravvissuti. Bisogna “mettere al centro la persona”,
ha aggiunto, chiedendo anche un’azione contro “la criminalità internazionale che gestisce
i barconi” e annunciando di voler triplicare i posti letto per l’accoglienza dei migranti,
portandoli a 24 mila. E mentre la Marina e la Croce Rossa lanciano l’allarme sulle
risorse per il pattugliamento e i piani di accoglienza, è salito a 181 il numero dei
corpi recuperati, ma non è stato ancora possibile confermare le cifre fornite da alcuni
superstiti, secondo cui i morti sarebbero in tutto 363. Infine, Giusy Nicolini, sindaco
di Lampedusa, è intervenuta nelle polemiche sulla presunta omissione di soccorso ai
naufraghi. I pescatori dell’isola, ha detto “non lasciano morire i migranti in mare,
non lo hanno fatto e non lo faranno mai”.
A livello internazionale dunque
ci si interroga su cosa non abbia funzionato finora nelle politiche migratorie europee,
visto che dal ’98 ad oggi sono morte oltre 19mila persone lungo le frontiere comunitarie.
Quali i motivi per cui così tanti migranti hanno perso la vita? Ascoltiamo Christopher
Hein, direttore del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir), intervistato da
Giada Aquilino:
R. - Queste
persone sono morte perché cercavano disperatamente di entrare in Europa, in questo
caso in Italia, ma anche verso Malta, la Grecia, la Spagna. Non avevano alternativa
che arrivare in modo irregolare sui barconi e mettere la loro vita a rischio. Ormai,
è da una ventina di anni che – con il sistema Schengen – abbiamo costruito un muro
intorno all’Europa: abbiamo un regime di ingresso che rende impossibile per un qualunque
cittadino – africano o spesso anche latinoamericano – arrivare in Europa in modo regolare,
perché non viene dato un visto. Questo è il prodotto di una politica di chiusura.
Il sistema Schengen a noi cittadini comunitari conviene molto perché permette di viaggiare
da un Paese all’altro senza controlli alle frontiere interne; ma penalizza il resto
del mondo, soprattutto chi fugge dal proprio Paese.
D. – Dopo la tragedia
di Lampedusa il capo dello Stato italiano Napolitano ha chiesto con forza di “stroncare
il traffico criminale di esseri umani”, sottolineando che “non è accettabile che vengano
negati ad una istituzione creata dalla Commissione europea – come il Frontex – mezzi
adeguati per intervenire senza indugio”…
R. – E’ certamente necessario poter
sorvegliare o avere un monitoraggio di tutto quello che succede e succederà nel canale
di Sicilia o nel Mediterraneo in generale. Dobbiamo andare però alla radice del problema.
Abbiamo apprezzato quando il presidente Napolitano ha parlato della necessità di una
legge organica sulla richiesta di asilo in Italia, che però non abbiamo. Dobbiamo
comunque considerare che la nostra legge deve ormai rispecchiare le normative comunitarie
che naturalmente ci sono ma che non prevedono la possibilità di presentare una richiesta
di asilo fuori dai confini europei. Le persone devono per forza essere fisicamente
presenti – ad esempio a Lampedusa – per inoltrare una richiesta di protezione.
D.
– In questo quadro allora a cosa bisogna puntare?
R. – Bisogna puntare alla
direttiva dell’Unione europea, alle procedure di asilo che prevedono che una richiesta
possa essere fatta solo alla frontiera di uno degli Stati membri o all’interno di
questi Paesi, ma in nessun caso fuori dall’Unione europea. Mettiamoci nei panni di
una donna eritrea a Tripoli, in Libia: non può ritornare nel suo Paese; non può rimanere
in Libia dove non ha alcuna possibilità di ottenere asilo; non può andare legalmente
in Europa perché non le daranno mai il visto di ingresso e quindi l’unica scelta che
ha è quella di usare mezzi illegali come i barconi. Bisogna a questo punto aprire
canali di ingresso legali e protetti in Europa, attraverso una modifica dell’approccio,
della direttiva sulle procedure di asilo. Aprire canali che permettano che questa
donna eritrea, così come tutti gli altri rifugiati, possa rivolgersi ad un’ambasciata
dell’Unione Europea o degli Stati membri ed iniziare una procedura di asilo fuori
dal nostro Continente, senza esser costretta ad arrivare fino a Lampedusa.
D.
– Lei ha fatto l’esempio della donna eritrea. Gran parte delle vittime dell’ultimo
naufragio di Lampedusa risultano essere donne. Questo emerge dai racconti fatti dai
superstiti del barcone naufragato. È un dato che ricorre?
R. – Sì. Purtroppo
tra le vittime ci sono tante donne e anche tanti bambini – alcuni non accompagnati
dai familiari – e pochi tra i superstiti. Bisogna ricordare che la situazione in Eritrea
è particolarmente pesante per le donne, a causa di una sorta di servizio militare
obbligatorio senza limiti di tempo; e non vanno dimenticati gli abusi a cui sono esposte
anche nelle caserme del loro Paese. Non è quindi un caso che le donne cerchino di
fuggire ed arrivare disperatamente in Europa.