Il commento di don Ezechiele Pasotti al Vangelo della Domenica
Nella 27.ma Domenica del Tempo ordinario, la liturgia ci propone il Vangelo in cui
gli apostoli chiedono a Gesù di accrescere in loro la fede. E il Signore risponde:
“Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso:
‘Sràdicati e vai a piantarti nel mare’, ed esso vi obbedirebbe”.
Su questo
brano evangelico ascoltiamo una breve riflessione di don Ezechiele Pasotti,
prefetto agli studi nel Collegio Diocesano missionario “Redemptoris Mater” di Roma:
La parola di
questa domenica è quasi un grido del Signore: “Se aveste fede…!”. È rivolta ai suoi
discepoli che gli hanno detto: “Accresci in noi la fede!” (letteralmente: aggiungi
fede a noi). La risposta è un’altra affermazione grave del Signore: “Se aveste fede
quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: ‘Sradicati e vai a piantarti
nel mare’, ed esso vi obbedirebbe”. Non so quanti di noi hanno avuto il coraggio di
misurarsi con un “granello di senape” e di chiedersi onestamente, mentre lo guarda:
“Ma se la mia fede non ha neppure questa misura, che fede è la mia?”. Non per scoraggiarci,
ma per prendere sul serio la necessità di un cammino che, facendoci riscoprire le
ricchezze del Battesimo, ci porti ad una fede adulta. La seconda parte del Vangelo
suona anch’essa dura per noi, sempre così infatuati di giustizia. Forse riusciamo
a dire: “Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”. Ma dire: “Siamo servi inutili!”, è proprio
superiore alle nostre forze. Ci sembra ingiusto, anche se viene da Dio ed è costante
nella vita dei santi. Eppure, non fosse altro che per quanto già affermava S. Agostino:
“Cerca il merito, la causa, la giustizia di questo, e vedi se trovi mai altro che
grazia” (Discorso 185); il Catechismo della Chiesa Cattolica precisa: “I meriti delle
opere buone devono essere attribuiti innanzitutto alla grazia di Dio…” (CCC 2008),
perché “i meriti delle nostre opere buone sono doni della bontà divina” (CCC 2009).
È poi la gratuità divina ad ascriverci come merito ciò che è fondamentalmente opera
sua, e ci introduce in Dio, rendendoci partecipi dell’intimità sponsale propria della
Trinità.