I pescatori di Lampedusa rendono omaggio alle vittime del naufragio. L'Italia invoca
l'azione dell'Ue
Riprenderanno questa mattina, se le condizioni meteo lo permetteranno, le ricerche
dei dispersi a Lampedusa. 155 i superstiti, tra loro oltre 40 minori. 111 finora i
corpi recuperati, tra cui 4 bambini, 49 donne e 58 uomini. Chi è scampato all’affondamento
di due giorni fa, parla però di un’imbarcazione con circa 500 persone a bordo. E mentre
si chiede che l’isola siciliana sia candidata al Nobel per la carità verso l’altro,
oggi decine di barche di pescatori renderanno omaggio alle vittime della tragedia.
Massimiliano Menichetti:
A Lampedusa
questa mattina l'omaggio dei pescatori. Decine di barche partiranno intorno alle 9
dal molo Favarolo, dove il Papa incontrò i migranti a luglio, per dirigersi nel luogo
del naufragio, presso il punto in cui il barcone è affondato getteranno fiori in memoria
delle vittime. Ma la preghiera e le fiaccolate, a Roma al Campidoglio e a Lampedusa,
hanno segnato anche la giornata di ieri, lutto nazionale, dopo il naufragio che ha
scioccato il mondo: 111 i corpi di somali ed eritrei, recuperati, 155 i supersiti.
Si sono moltiplicati gli appelli all’accoglienza, contro l’indifferenza. “Nulla dovrà
essere più come prima" ha detto la presidente della Camera Laura Boldrini, in serata
sull’isola siciliana, è necessario "riconsiderare le nostre politiche – ha sostenuto
- innanzitutto verso i Paesi d'origine da cui fuggono queste persone". "Non vi è alcuna
ragione per pensare che quanto accaduto sia l'ultima volta" aveva detto in mattinata,
guardando all’Europa, il ministro dell'Interno, Angelino Alfano, nella sua informativa
alla Camera. Frasi apprezzate e condivise dal presidente della Repubblica Napolitano.
Di lutto europeo ha parlato il premier Letta chiedendo all’Ue di alzare il suo livello
di intervento. E mentre lo spettrale relitto inabissatosi a 47 metri di profondità
cela ancora decine di dispersi, i Giovani del Partito Popolare Europeo hanno approvato
ieri a Bucarest una risoluzione d'urgenza con la quale si chiede all'Ue di affrontare
in maniera incisiva il tema dell'immigrazione.
Le commozione è internazionale,
ma da quell’Unione Europea così tanto invocata arriva il gelo: è miopia italiana –
spiegano da Bruxelles – dire che l’Europa non ha fatto abbastanza per evitare la tragedia.
Ed ecco i sentimenti dei lampedusani, nelle parole del parroco don Stefano Nastasi,
al microfono di Elvira Ragosta:
R. – C’è tanta
rabbia, tanto sconforto, anche perché la comunità ha pensato fin dal primo momento
che era qualcosa che si doveva e si poteva probabilmente evitare.
D. – I lampedusani
continuano la staffetta di solidarietà, nonostante le scene terribili di ieri, ma
cosa resterà alla popolazione di questa esperienza?
R. – Non possono nascondere
uno scoraggiamento, che quindi non è solo mio, ma anche della comunità. Questo è un
dramma troppo grande per noi, che incide nella carne di una comunità, perché se da
un lato c’è la perdita di questi fratelli, il dolore atroce delle loro famiglie, dall’altro
lato c’è una sofferenza che s’iscrive nella storia di questa comunità e che entra
nelle nostre carni.
D. - Lei si è unito all’appello del sindaco Giusi Nicolini
e alle istituzioni italiane ed europee. Quale potrebbe essere, secondo lei, la soluzione
più efficace per evitare l’ennesima tragedia di migranti?
R. – Penso che la
risposta sia di realizzare un corridoio umanitario, in modo tale da poter dare la
possibilità a chi riceve lo status di rifugiato di poter essere custodito, senza essere
travolto dal mare.
La maggior parte delle persone che si trovavano sul peschereccio
era originaria della Somalia e dell’Eritrea. Da cosa scappano tutte queste persone?
Davide Pagnanelli lo ha chiesto a padreMussie Zerai, presidente
dell’associazione per la cooperazione e lo sviluppo Habeshia:
R. – I somali
scappano dalla situazione di guerra che si protrae dal ’94. Gli eritrei sfuggono dalla
dittatura, dall’assenza di qualsiasi libertà, sono costretti ad una vita militare
infinita e a vivere quindi uno stato di schiavitù legalizzato nel Paese in cui vivono.
Fuggono per trovare la libertà e ricostruire un futuro. C’è chi fugge anche dalla
fame, specialmente quest’anno che c’è una forte carestia
D. – Quali pericoli
incontrano durante il cammino?
R. – Vengono sequestrati, maltrattati e devono
spesso pagare riscatti per la loro liberazione. Moltissime persone, prima ancora di
arrivare sulle coste libiche, rimangono paralizzati, mutilati, feriti... Quindi, i
pericoli che devono superare sono tantissimi. Una volta arrivati in Libia, nei centri
di detenzione la situazione non cambia. Sappiamo che tipo di vita fanno: maltrattamenti,
abusi...
D. – Perché non sono stati ancora creati “corridoi umanitari” che
facciano migrare queste persone in sicurezza?
R. – Soltanto perché manca la
volontà politica di agire e accogliere queste persone. Spesso si specula, si fanno
campagne elettorali sulla pelle di queste persone e si preferisce guardare agli interessi
particolari dei partiti senza tener conto che stiamo parlando di vite umane.
D.
– Cosa può fare dunque la comunità internazionale per rispondere a questo problema?
R.
– Iniziare intanto a risolvere i conflitti ed i problemi che li spingono a lasciare
il proprio Paese: questa sarebbe la miglior soluzione da proporre a queste persone.
Creare la possibilità che possano vivere liberamente, in modo dignitoso nel proprio
Paese. Nel frattempo, però, una soluzione provvisoria è anche quella di garantire
un accesso legale, protetto, verso un Paese dove possano trovare asilo e la protezione
internazionale. Un programma di accoglienza, di reinsediamento anche di un corridoio
umanitario che permetta a queste persone di arrivare legalmente nel Paese di destinazione,
senza doversi affidare ai trafficanti mettendo in pericolo la loro vita.