Il ministro Quagliariello: colto un grido che veniva dal Paese
Equilibri nel Pdl, riforme istituzionali, sono alcuni dei temi trattati dal ministro
per le Riforme Costituzionali Gaetano Quagliariello in un intervista con la
nostra emittente. Adriana Masotti e Alessandro Guarasci gli hanno chiesto prima
di tutto se, dopo quanto successo mercoledì in Senato, cioè il dietrofront di Berlusconi,
ma anche il punto fermo tenuto nei giorni precedenti da Alfano, è nato o potrà nascere
un nuovo Pdl:
R. – Anche nei
giorni passati, quel che è accaduto è accaduto perché c’è chi si è accorto che in
gioco era l’Italia in un momento molto particolare, e ha saputo anche riconoscere,
cogliere un grido che veniva dal Paese. Questa capacità e – se mi consente – anche
questa responsabilità dovrebbe essere ciò che caratterizzerà una nuova stagione del
centrodestra, di un centrodestra maggioritario come quello che Silvio Berlusconi seppe
creare nel 1994.
D. – C’è spazio anche per ripensare la leadership? INsomma,
Berlusconi è ancora il leader del Pdl?
R. – Ma, io credo che le leadership
si conquistino e si difendano sul campo. C’è qualcosa, cioè il ruolo storico e la
leadership storica che Berlusconi ha conquistato nel ’94 quando riuscì a non consegnare
l’Italia in mano ad una vittoria scontata di una sinistra che allora era molto meno
post-comunista di oggi: bè, questo è un ruolo che non gli può levare nessuno. Credo
che anche per lo spazio che si aprì nel ’94, è nata – però – una classe dirigente
che ha autonomia, forza, responsabilità e sa riconoscere ciò che serve al Paese. Questa
è la classe dirigente che intorno ad Angelino Alfano, si è espressa nei giorni scorsi.
D.
– Che prospettive ci sono rispetto alle riforme di cui il Paese ha bisogno? Sarà più
facile, ora, per il governo Letta portarle a termine? Che cosa ci vuole per raggiungere
lo scopo?
R. – Per fare le riforme, Letta disse – nel discorso di insediamento
– servono 18 mesi: non era un capriccio, è più quello che dice la Costituzione. E
quelle riforme furono ritenute indispensabili, quando il sistema politico si stava
bloccando ed implodendo, al punto tale da non riuscire ad esprimere nemmeno un nuovo
capo dello Stato. Io, in questi cinque mesi, a volte non sapevo se avrei avuto 18
giorni, a volte nemmeno 18 minuti. Io ho lavorato quindi con queste spade di Damocle
e con prospettive di crisi di governi che venivano sia da sinistra sia da destra.
E credo che da ieri le riforme hanno guadagnato uno spazio di tranquillità un po’
maggiore.
D. - Sulla riforma della legge elettorale, ancora non è stato possibile
trovare un accordo. Il ritorno al “Mattarellum” rimane l’ipotesi più probabile?
R.
– No. Ci sono due leggi elettorali da fare. Una, quella che bisognerebbe fare prima
del 3 dicembre, quando la Corte costituzionale dirà che questa legge in realtà confligge
con la nostra Costituzione: in realtà, confligge con il buon senso. Lei pensi che
questa legge con lo 0,3% alla Camera ha dato una coalizione il triplo dei Parlamentari
della seconda classificata. Nemmeno con la Legge Acerbo era accaduto! Lei pensi che
ci sono partiti che hanno usufruito del premio di maggioranza e che ora, invece, sono
all’opposizione e magari hanno anche presidenze di Commissione di garanzia, stando
all’opposizione … Quindi, siamo quasi all’interno di un teatro dell’assurdo, dal quale
è bene che la politica esca e che affermi il suo ruolo. Però, se si faranno le riforme,
la legge elettorale sarà quella che si farà quando cambierà la forma di governo: quella
sarà la legge elettorale con la quale si dovrà andare a votare. Se noi andremo a Parigi,
ci sarà una legge elettorale; se andiamo a Londra o a Berlino, ce ne saranno altre.
Quindi, questo intervento – diciamo così – urgente, questa safety net, che
bisognerebbe creare, appunto, perché un Paese civile deve potere andare al voto in
qualsiasi momento, richiama meno attenzione perché auspicabilmente non sarà questa
la legge con la quale si porterà al voto l’Italia.