Centrafrica: violenze dei Seleka contro la popolazione. Drammatica testimonianza di
padre Gazzera
Situazione sempre più esplosiva in Centrafrica, dove due settimane dopo l’ultimatum
del presidente di transizione Michel Djotodia, i ribelli della coalizione Seleka,
già sciolta, si rifiutano di consegnare le armi e di ritirarsi nelle caserme. Vengono
segnalate violenze di tutti i generi nei confronti della popolazione, che sta iniziando
a reagire a questa situazione, mossa dalla disperazione. Sul momento di tensione che
vive il Paese africano, ascoltiamo la testimonianza di padre Aurelio Gazzera,
missionario carmelitano e direttore della Caritas diocesana di Bouar, che da oltre
vent’anni vive nella Repubblica Centrafricana. L’intervista è di Salvatore Sabatino:
R. - È un momento
di grande tensione in cui non si sa bene in cosa consista questo scioglimento della
Seleka. Iniziano ad esserci anche dei movimenti di reazione da parte della popolazione
che non ne può più. Quindi anche la maggior parte dei fatti di Bassangoa sono imputabili
a gente che non era organizzata, ma che è organizzata sulla disperazione.
D.
- Stanno creando delle barricate, occupazioni di aree in cui è garantita la sicurezza,
anche per spingere il governo ad agire…
R. - Sì, solo che il governo è completamente
fuori fase rispetto al Paese perché continuano a fare affermazioni e basta. Stamattina,
ad esempio, sono stato vittima di un incidente: hanno sparato sulla mia macchina.
Il Ministro della sicurezza ha semplicemente detto che bisogna aver pazienza, che
non bisogna creare delle tensioni …
D. - Non è la prima volta che lei è vittima
di uno di questi incidenti …
R. - È già successo alcune volte, qualche schiaffo
… Stavolta invece hanno sparato sulla macchina, perché volevano che, ad una barriera,
tornassimo indietro; io non ero d’accordo e un uomo armato di mitra si è avvicinato
minacciandoci, poi si è allontanato di due metri e da lì ha iniziato a sparare sulla
macchina, sulle gomme. A quel punto stavo cercando di capire come fare per tornare
indietro, ma ormai la macchina non si poteva più muovere.
D. - L’arcivescovo
di Bangui, mons. Nzapalainga, nell’omelia della scorsa domenica ha invitato a ritrovare
la strada della coesione e del vivere insieme in modo armonioso. Come è possibile
trovare questa strada della riconciliazione, secondo lei?
R. - È possibile,
ma è molto difficile. È possibile nel senso che comunque è un Paese dove è abbastanza
facile e bello vivere insieme; è difficile nel senso che, come un po’ in tutte le
guerre, questa sta suscitando il peggio che c’è nel cuori degli uomini, soprattutto
perché questi elementi non hanno nessuna coesione sul campo, quindi continuano a fare
quello che vogliono. È una strada molto difficile, però bisogna percorrerla, perché
è l’unica via di salvezza.
D. - Lei ha detto: “É bello vivere insieme in quel
Paese!”. Ci sono molti casi di solidarietà e di convivenza pacifica anche tra le comunità
cristiane e musulmane; questo è un esempio da cui ripartire…
R. - Ma infatti
non ci sono mai stati grossi problemi, però è vero che, dove non ci sono mai stati
, prima o poi ci possano essere. Per questo bisogna vegliare molto in modo che non
si inseriscano elementi di disturbo e di distorsione. Un altro elemento su cui vegliare
molto è proprio questa esasperazione; la gente non ne può più! Queste persone che
perpetrano le violenze parlano solo arabo e alcune delle comunità musulmane si appoggiano
e fanno anche affari con queste ultime. É chiaro che c’è il rischio di confusione,
però bisogna essere capaci di evitare questo.
D. - Qual è il suo pensiero,
la sua riflessione, sul futuro di questo Paese, lei che vive da tanti anni lì …
R.
- A parte il fatto che stamattina hanno sparato sulla nostra macchina – quindi magari
non ci sono le condizioni per essere ottimisti, anche in questi giorni ero a Bangui
ed ho fatto visita ad alcune persone del governo, della comunità internazionale -
c’è molto pessimismo, nel senso che non si vede una via d’uscita che non sia un intervento
esterno, serio, con possibilità di manovra ma ben radicato nel territorio e quindi
un po’ in tutto il Paese, perché fino ad ora il poco o niente che è stato fatto, è
stato fatto nella capitale; ci sono tante chiacchiere, poi concretamente non è successo
un granché.