Il card. Onaiyekan: un dialogo intra-musulmano per placare la violenza in Nigeria
E' questo il tempo opportuno per una rivolta della speranza e dello spirito, a cominciare
dalle religioni. Lo hanno scritto nel loro Appello di pace i leader religiosi convenuti
a Roma per il XXVII incontro per la pace, organizzato dalla Comunità di Sant'Egidio
e terminato martedì sera. Nel testo si respinge con forza il terrorismo religioso,
perché, si legge, “utilizzare il nome di Dio per uccidere è blasfemo. Il terrorismo
religioso nega in radice la religione". Tra i firmatari, il card.John Olorunfemi
Onaiyekan, arcivescovo di Abuja, in Nigeria, Paese scosso il 29 settembre scorso
dall’ennesimo, sanguinoso, atto del gruppo islamista Boko Haram, che in un attacco
contro un istituto scolastico ha ucciso nel sonno oltre 40 studenti. Francesca
Sabatinelli ha intervistato il cardinale Onaiyekan:
R. – Possiamo
interpretarlo come gli ultimi tentativi di questi terroristi per causare disordine.
Siccome il governo ha messo soldati ben armati, non c’è più lo scontro frontale tra
i terroristi e l’esercito. I terroristi, invece, si sono dispersi nelle campagne e
attaccano la povera gente, completamente indifesa. Non è la prima volta che vengono
attaccate le scuole, dove si uccidono i bambini che dormono. A volte entrano in un
villaggio, dove non c’è polizia, e uccidono la gente. Rimane sempre difficile capire
perché fanno queste cose, a meno che uno non pensi a qualcosa di diabolico. Anche
per il musulmano nigeriano, infatti, tutto questo è di grande imbarazzo. Dimostra
quindi che i terroristi non possono essere vinti solo con i soldati e le armi, ma
si deve cercare un modo per parlare con loro. Non so chi parlerà con i terroristi.
Se non ci riusciamo, come potremo cambiare la loro mentalità?
D. – Il dialogo
da cosa dovrebbe partire, se non si riesce ad individuare la richiesta che ci può
essere dietro a questa violenza?
R. – Ormai, è chiaro che questa gente non
agisce in nome dell’islam nigeriano. Il nostro dialogo continua con l’islam nigeriano,
che è disposto a questo dialogo e con il quale lo continuiamo. Per i terroristi, secondo
noi, ci vuole un dialogo intra-musulmano. Saranno i musulmani a cercare di parlare
con questa gente. Stanno cercando di farlo, ma non è facile. Si deve riconoscere,
secondo me, che Boko Haram, il terrorismo, è soltanto l’estremo punto di un tragitto.
D. – Che parte da dove?
R. – Che parte da un atteggiamento di estremismo,
di esclusivismo, di fanatismo religioso, che si trova molto spesso tra alcuni gruppi
di musulmani, nelle prediche di qualche imam, che non portano bombe, che non uccidono
nessuno, ma il linguaggio è un linguaggio che presenta l’islam come unica religione
giusta. Questo è ciò che si riflette, quando si trovano musulmani che insistono sulla
sharia in Nigeria. Sono sempre una piccola minoranza, ma credo sia arrivato
il tempo in cui in Nigeria si debba decidere che vogliamo vivere in pace e che non
è importante a quale religione uno appartenga. I terroristi come Boko Haram non credono
nel dialogo, non credono nemmeno che le altre religioni abbiano il diritto di esistere,
e non attaccano solo i cristiani, ma anche i musulmani che sono diversi da loro. E’
chiaro che abbiamo a che fare con una rete internazionale di terrorismo islamico.
D.
– Lei teme che ci possa essere ancora un’evoluzione peggiore delle azioni di Boko
Haram?
R. – No, non credo. Credo che continueranno a fare questi gesti qua
e là, ma che prima o poi finirà, perché il popolo intero è contro di loro adesso.
C’è il fenomeno dei “vigilanti”: giovani musulmani che si sono armati per combattere
Boko Haram.
D. – Lei è qui a Roma, ospite della Comunità di Sant’Egidio,
per ribadire quello che il Papa ha detto: non si può usare il nome di Dio per le guerre...
R.
– E per uccidere. E’ un messaggio che deve arrivare a tutti e che tutti dovrebbero
riprendere. Non basta dire: “Oh va bene, il Papa ha parlato, bene!” No, tutti devono
dirlo chiaro. I musulmani devono dirlo chiaro, con la voce più alta possibile, che
non si può uccidere in nome di Dio. Dobbiamo ricordare che la storia della relazione
tra cristiani e musulmani è piena di questi episodi di uccisioni in nome della religione.
Allora, dobbiamo trovare il modo di cambiare quella storia. Perché anche se noi due
non ci crediamo più, c’è tanta altra gente là fuori che ancora pensa in quel modo.