Ondata di attentati in Iraq: 60 morti. Mons. Warduni: c'è paura per il futuro
In Iraq, è salito ad almeno 60 morti il bilancio provvisorio delle 12 esplosioni con
autobomba, ieri mattina a Baghdad. Oltre 100 i feriti. Gli attacchi, secondo la polizia
locale, hanno colpito perlopiù la comunità sciita. Già domenica scorsa a Musayyib,
60 km a sud della capitale, un kamikaze si era fatto saltare in aria provocando il
crollo del soffitto della moschea sciita dove si stavano celebrando le esequie di
un uomo ucciso sabato da miliziani: almeno 40 le vittime. Una ventina invece erano
state registrate ad Hilla, città meridionale a maggioranza sciita. E a Erbil, nel
Kurdistan, un gruppo armato aveva fatto irruzione nella sede dei servizi di sicurezza
locali, provocando altri 6 morti. Una scia di sangue che conta almeno 800 vittime
soltanto a settembre e 6 mila morti dall’inizio dell’anno per le tensioni interconfessionali
tra la maggioranza sciita al potere e la minoranza sunnita. Un’ondata di violenza
che ha raggiunto i livelli del triennio di sangue 2006-2008. Sulla situazione attuale,
Giada Aquilino ha intervistato mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare
di Baghdad dei caldei:
R. – Sta succedendo
il caos. Ci preoccupiamo, perché non sappiamo cosa e per quali motivi stia accadendo.
Alcuni dicono a causa delle elezioni, che ci saranno fra un anno, altri dicono si
tratti di contraddizioni non soltanto religiose, ma di interessi e divisioni fra partiti.
Noi non lo sappiamo. Si tratta comunque di cose che non sono per il bene dell’Iraq
né degli iracheni e che fanno male a tutti.
D. – Questa violenza, quindi,
non è solo da ricondurre a tensioni interconfessionali?
R. – E’ anche questo,
ma non solo. L’aspetto interconfessionale è molto chiaro, ma ci sono altre cause sia
interne sia esterne: contro l’Iraq, contro la sua unità, contro i suoi interessi.
D.
– Come si è arrivati a questo punto?
R. – Se non c’è un governo forte, che
possa mandare avanti le cose, si moltiplicano gli atti terroristici, che fanno paura
a tutti. Noi chiediamo solo alla gente di stare tranquilla, di pregare. La gente però
se non ha la sicurezza, se non ha la pace come può vivere sempre con questa ansia
di non sapere quando possa scoppiare una macchina, un’autobomba o quando ci sia un
kamikaze? Che il Signore ci protegga. La maggioranza delle persone però vuole uscire
dal Paese, c’è un grande flusso migratorio. Ieri, per esempio, c’è stato uno scoppio
nel Nord, il posto più sicuro in Iraq al momento. E quando la gente vede che non c’è
più alcun posto sicuro, cosa può fare per proteggere la propria vita, la propria famiglia,
il proprio lavoro, il proprio futuro?
D. - La situazione in Siria si rispecchia
anche in Iraq?
R. – Sì, certamente c’è un’influenza e certamente c’è una guerra
interconfessionale. Da noi ci sono entrambe le parti. Siamo al confine. E ci sono
sia le armi sia i terroristi. Noi stiamo pregando molto, chiedendo l’aiuto di Dio,
perché ci sia la pace e la sicurezza per tutti quanti.
D. – Qual è la situazione
dei cristiani al momento?
R. – In Iraq, adesso non abbiamo direttamente grandi
problemi, ma abbiamo paura per il futuro, perché non si sa quando ci saranno attacchi
contro di noi o contro le nostre chiese. Ogni tanto, comunque, si sente una minaccia
contro quella chiesa, contro quella persona.
D. – Com’è impegnata la Chiesa
irachena?
R. – Da una parte, dice alla gente di non andare fuori, di non emigrare;
dall’altra, ci sono le difficoltà quotidiane per le quali non si sa come fare. Ci
vuole coraggio e eroismo. Preghiamo il Signore e diciamo: “Noi siamo qui, anche fino
al martirio; siamo pronti”.