2013-09-26 13:32:26

Gino Bartali "giusto" tra le Nazioni, salvò almeno 800 ebrei dalla deportazione


“Giusto” tra i Giusti delle Nazioni. E’ il prestigioso titolo con cui è stato insignito dallo Yad Vashem, il sacrario ebraico della Memoria di Gerusalemme, Gino Bartali, il popolare ciclista che, a cavallo della Seconda Guerra mondiale, vinse varie edizioni del Tour de France e del Giro d’Italia in un epico antagonismo con il “Campionissimo” Fausto Coppi. Proprio durante le leggi razziali, nei suoi lunghi allenamenti riuscì a salvare dalla deportazione almeno 800 ebrei, nascondendo nel telaio della bicicletta documenti appositamente falsificati. Su questo riconoscimento, Giancarlo La Vella ha intervistato il figlio del campione, Andrea Bartali:RealAudioMP3

R. - Mia madre e io abbiamo accolto questo riconoscimento con grande soddisfazione. Abbiamo avuto vicino a noi tutta la comunità ebraica di Firenze. Insomma, ci hanno appoggiato tante persone. Onestamente, avevamo perso qualche speranza, ma qualche mese fa è stato fatto "Giusto tra le nazioni" anche il cardinale di Firenze di allora, Elia Dalla Costa. In quel momento, è un po’ rinata la speranza, perché papà era in contatto con Della Costa, il quale aveva unito in matrimonio i miei genitori, mi aveva battezzato. Insomma, una lunga tradizione di amicizia.

D. - Una carriera splendida - lo sappiamo tutti - quella di Gino Bartali, interrotta purtroppo dagli interventi bellici della Seconda Guerra mondiale. In che modo, durante questi eventi, Gino Bartali riuscì ad impegnarsi per salvare la vita a tante persone?

R. - Papà, partiva dal principio che il bene si fa ma non si dice, perché lui considerava una grande vigliaccheria lo speculare sulle disgrazie o sui dolori degli altri, ha fatto sempre tutto in silenzio. Quando il cardinale lo chiamò per dirgli che c’erano circa 14 o 15 mila cittadini ebrei nascosti nelle chiese, nei collegi, presso famiglie amiche, pensò di aiutare questo persone con documenti falsi a raggiungere il porto di Genova, dove avrebbero poi potuto imbarcarsi per l’America o il Sud America. Però, mancava qualcuno che potesse trasportare questi documenti falsi. E la scelta del cardinale ricadde su mio padre. Lo convocò e gli disse: “Bisognerebbe che tu portassi questi documenti. Sappi, però, che, se ti trovano, ti fucilano sul posto!”. Papà ci pensò un po’, poi disse: “Siccome lo sport, specialmente il ciclismo, deve essere lezione di vita e solidarietà, sennò non serve a niente, io aiuto i più deboli”. E così si mise a disposizione del cardinale, andò in clandestinità e, con la bici, cominciò a fare la spola tra Firenze e la Curia di Genova, facendo scalo alla Certosa di Lucca. Qui anche i certosini avevano documenti falsi da sostituire. Quindi, lì c’era uno scambio: papà prendeva dei documenti, ne dava degli altri, prendeva delle foto, ne dava delle altre e proseguiva. Poi, tranquillamente, ritornava indietro. Ho saputo di recente che alla Curia di Genova arrivavano dei soldi da parte di cittadini ebrei americani tramite la Svizzera. Papà prendeva anche questi soldi e li portava al cardinale Della Costa.

D. - Sicuramente, a voi familiari ha raccontato qualche episodio articolare…

R. - La mamma ha appreso di questa sua attività solo dopo la sua scomparsa, quando sono cominciate ad apparire alcune informazioni su cosa aveva fatto e alcune notizie dopo la guerra. Lui non le aveva detto assolutamente niente. E non aveva detto nulla a nessun familiare. A me invece raccontò tutto. Ed ecco che, in quelle trasferte che facevamo in macchina, oppure quando eravamo insieme a Milano, papà parlava anche volentieri di tutte queste cose, purché non le dicessi a nessuno. Questa era la sua condizione. E io un giorno gli ho chiesto: “Papà, ma perché mi racconti tutte queste cose, se poi non le posso raccontare?”. E lui: “Capirai. Arriverà il momento. Lo capirai da solo e in quel momento potrai dire quello che ti ho raccontato”. Credo sia arrivato quel momento.







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