Gino Bartali "giusto" tra le Nazioni, salvò almeno 800 ebrei dalla deportazione
“Giusto” tra i Giusti delle Nazioni. E’ il prestigioso titolo con cui è stato insignito
dallo Yad Vashem, il sacrario ebraico della Memoria di Gerusalemme, Gino Bartali,
il popolare ciclista che, a cavallo della Seconda Guerra mondiale, vinse varie edizioni
del Tour de France e del Giro d’Italia in un epico antagonismo con il “Campionissimo”
Fausto Coppi. Proprio durante le leggi razziali, nei suoi lunghi allenamenti riuscì
a salvare dalla deportazione almeno 800 ebrei, nascondendo nel telaio della bicicletta
documenti appositamente falsificati. Su questo riconoscimento, Giancarlo La Vella
ha intervistato il figlio del campione, Andrea Bartali:
R. - Mia madre
e io abbiamo accolto questo riconoscimento con grande soddisfazione. Abbiamo avuto
vicino a noi tutta la comunità ebraica di Firenze. Insomma, ci hanno appoggiato tante
persone. Onestamente, avevamo perso qualche speranza, ma qualche mese fa è stato fatto
"Giusto tra le nazioni" anche il cardinale di Firenze di allora, Elia Dalla Costa.
In quel momento, è un po’ rinata la speranza, perché papà era in contatto con Della
Costa, il quale aveva unito in matrimonio i miei genitori, mi aveva battezzato. Insomma,
una lunga tradizione di amicizia.
D. - Una carriera splendida - lo sappiamo
tutti - quella di Gino Bartali, interrotta purtroppo dagli interventi bellici della
Seconda Guerra mondiale. In che modo, durante questi eventi, Gino Bartali riuscì ad
impegnarsi per salvare la vita a tante persone?
R. - Papà, partiva dal principio
che il bene si fa ma non si dice, perché lui considerava una grande vigliaccheria
lo speculare sulle disgrazie o sui dolori degli altri, ha fatto sempre tutto in silenzio.
Quando il cardinale lo chiamò per dirgli che c’erano circa 14 o 15 mila cittadini
ebrei nascosti nelle chiese, nei collegi, presso famiglie amiche, pensò di aiutare
questo persone con documenti falsi a raggiungere il porto di Genova, dove avrebbero
poi potuto imbarcarsi per l’America o il Sud America. Però, mancava qualcuno che potesse
trasportare questi documenti falsi. E la scelta del cardinale ricadde su mio padre.
Lo convocò e gli disse: “Bisognerebbe che tu portassi questi documenti. Sappi, però,
che, se ti trovano, ti fucilano sul posto!”. Papà ci pensò un po’, poi disse: “Siccome
lo sport, specialmente il ciclismo, deve essere lezione di vita e solidarietà, sennò
non serve a niente, io aiuto i più deboli”. E così si mise a disposizione del cardinale,
andò in clandestinità e, con la bici, cominciò a fare la spola tra Firenze e la Curia
di Genova, facendo scalo alla Certosa di Lucca. Qui anche i certosini avevano documenti
falsi da sostituire. Quindi, lì c’era uno scambio: papà prendeva dei documenti, ne
dava degli altri, prendeva delle foto, ne dava delle altre e proseguiva. Poi, tranquillamente,
ritornava indietro. Ho saputo di recente che alla Curia di Genova arrivavano dei soldi
da parte di cittadini ebrei americani tramite la Svizzera. Papà prendeva anche questi
soldi e li portava al cardinale Della Costa.
D. - Sicuramente, a voi familiari
ha raccontato qualche episodio articolare…
R. - La mamma ha appreso di questa
sua attività solo dopo la sua scomparsa, quando sono cominciate ad apparire alcune
informazioni su cosa aveva fatto e alcune notizie dopo la guerra. Lui non le aveva
detto assolutamente niente. E non aveva detto nulla a nessun familiare. A me invece
raccontò tutto. Ed ecco che, in quelle trasferte che facevamo in macchina, oppure
quando eravamo insieme a Milano, papà parlava anche volentieri di tutte queste cose,
purché non le dicessi a nessuno. Questa era la sua condizione. E io un giorno gli
ho chiesto: “Papà, ma perché mi racconti tutte queste cose, se poi non le posso raccontare?”.
E lui: “Capirai. Arriverà il momento. Lo capirai da solo e in quel momento potrai
dire quello che ti ho raccontato”. Credo sia arrivato quel momento.