Gli ispettori Onu tornano in Siria. Iran e Usa più vicini
In Siria non si fermano gli scontri mentre si registra la cauta apertura, in sede
Onu, degli Stati Uniti nei confronti della Siria e sul ruolo di mediazione dell’Iran.
Chiesta comunque una risoluzione forte contro Damasco. Scetticismo è stato espresso
dal presidente Israeliano Netanyhau in relazione alle collaborazione rimarcata dall’omologo
iraniano Rohani. Intanto in Siria è tornato il gruppo di esperti delle Nazioni Unite
incaricato di indagare sull'uso di armi chimiche. Massimiliano Menichetti ha
raccolto il commento di Nima Baheli, giornalista ed esperto dell’area:
R. - Per la
Repubblica islamica, la Siria è stata un’alleata di ferro in questi ultimi 30 anni.
Bisogna ricordare come all’epoca della sanguinosa guerra Iran-Iraq, l’unico Paese
arabo che fu dall’inizio alla fine alleato dell’Iran fu proprio la Siria. Questa alleanza
fra Repubblica islamica iraniana e il regime baathista siriano è di lunga data e ci
sono varie convergenze tra le due nazioni. Da un punto di vista di politica estera
nella Repubblica islamica, le questioni siriane sono considerate quasi come se fossero
questioni di politica interna. È noto ad esempio il fatto che Teheran spenda ogni
mese circa mezzo miliardo di dollari in aiuti al governo di Damasco; aiuti sia di
tipo finanziario, energetico, sia militare: perché molti addestratori iraniani addestrano
le forze armate siriane. Quindi questo legame è molto forte.
D. - Gli osservatori
dell’Onu sono di nuovo in Siria per continuare il proprio lavoro per quanto riguarda
l’utilizzo di armi chimiche …
R. - Quella delle armi chimiche è una questione
che fondamentalmente sta a cuore - secondo me - a molte nazioni dell’area, perché,
per certi versi, finché queste armi sono in mano al governo c’è un certo livello di
sicurezza; non vengono utilizzate contro nazioni esterne. Al contrario le preoccupazioni
aumentano se queste armi dovessero essere nelle mani degli oppositori. Perché la grande
galassia dei ribelli o dei resistenti - a seconda di come vengono chiamati - nell’ultimo
anno si sta sempre più estremizzando, quindi il controllo e la messa in sicurezza
delle armi chimiche diviene questione prioritaria.
D. - Oggi, che volto ha
l’opposizione in Siria?
R. - Si sta sempre più estremizzando lasciando le fazioni
laiche sempre più in minoranza. C’è stato un interessante studio della "Ihs Janes"
- un centro di studi finalizzato alla difesa, pubblicato alla metà di settembre -
che vede questa galassia dei combattenti siriani ammontare a circa centomila combattenti,
suddivisi in mille bande. Ha delineato come di questi centomila, circa diecimila siano
jihadisti collegati ad Al Qaeda - tra questi ci sono molti combattenti stranieri -,
altri 30 -35 mila siano collegati, in qualche maniera, con i jihadisti, ma tendenzialmente
focalizzati alla guerra civile siriana, altri 30 mila siano "islamisti più secolari"
- ma sempre comunque islamisti -; quindi rimarrebbero - e questo sarebbe il cruccio
che ha delineato questo studio - soltanto 30 mila unità - un terzo di tutta l’opposizione
- che potrebbero essere vicine alle posizioni occidentali. L’altro lato, maggiormente
evidenziato da questo studio, è che sempre le più due fazioni Jubat al Nusra e il
partito dello Stato islamico dell’Iraq del Levante, stiano assumendo sempre più potere,
scontrandosi però internamente con le altre forze dell’opposizione siriana.
D.
- Lo spettro comunque di un intervento militare sembra scongiurato. Assad potrebbe
anche lasciare il Paese? Se sì, quando e come?
R. - Come ha dichiarato l’Iran
e come ha dichiarato lo stesso Assad, fino al 2014, ovvero fino alle elezioni del
2014, lui rimarrà. E per le elezioni del 2014 bisognerà vedere quali saranno gli equilibri
in campo e quali saranno le decisioni che a livello alto - ovvero tra stati Uniti,
Russia e Iran - verranno prese.