Due milioni i bambini a rischio fame in Siria. "Save the Children" chiede l'intervento
dell'Onu
In Siria, sono almeno due milioni i bambini che combattono la guerra contro la fame.
Lo denuncia Save the Children, che ha presentato un rapporto, in occasione
dell’apertura dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, alla quale l’organizzazione
chiede di intervenire immediatamente. Nel documento, che riporta diverse testimonianze,
si racconta dei 7 milioni di abitanti caduti in povertà dall’inizio del conflitto,
di come nelle aree rurali di Damasco un bambino su venti sia malnutrito, mentre il
14% sia affetto da malnutrizione grave. Le famiglie, spiega ancora Save the Children,
non sono più in grado di produrre o comprare cibo. Francesca Sabatinelli ha
intervistato il portavoce in Italia, Filippo Ungaro:
R. - Questa
guerra va avanti da più di tre anni e la situazione umanitaria è insostenibile. Sostanzialmente
all’interno del Paese i rifornimenti di cibo, di acqua potabile e di medicine si stanno
rapidamente esaurendo. Ci sono circa tre milioni di bambini in tutto il territorio
siriano che hanno bisogno di aiuti e di qualsiasi tipo di assistenza. Questo della
fame è un aspetto nuovo che sta colpendo in maniera forte tutta la popolazione civile
e in particolare - appunto - i più vulnerabili. Questo oltretutto succede sì nelle
aree rurali, ma anche nelle principali città della Siria.
D. - Voi avete fatto
un elenco. Damasco, Homs, Aleppo sono città dove le famiglie, le persone, non riescono
più ad approvvigionarsi …
R. - I costi dei beni alimentari sono diventati insostenibili.
Dall’inizio della guerra sono aumentati del duemila per cento! Sono persone letteralmente
incastrate, assediate in queste città, non possono uscire di casa, hanno il timore
di essere colpiti dai cecchini che circondano la città o di finire sopra una bomba.
Le poche risorse che ci sono, come le risorse d’acqua, ad esempio, quasi sicuramente
sono ormai inquinate. Quindi la situazione è veramente drammatica.
D. – Nella
vostra denuncia si parla addirittura del rischio che un’intera generazione scompaia…
R.
- Assolutamente sì. Ecco alcuni numeri: due milioni di bambini costretti ad abbandonare
la loro casa, un milione di bambini rifugiato nei Paesi limitrofi alla Siria. Almeno
settemila bambini uccisi, tre milioni che hanno bisogno di assistenza, due milioni
soffrono la fame, almeno la metà delle strutture ospedaliere sono state danneggiate,
poco meno di quattro mila scuole sono state distrutte o danneggiate. Qui c’è il serissimo
rischio che un’intera futura generazione scompaia letteralmente.
D. - Come
si può intervenire per salvare queste persone?
R. - È vero che l’intervento
armato degli Stati Uniti e degli altri Stati occidentali è stato per il momento scongiurato,
ma è anche vero che questa guerra c’è, c’è oggi, e c’è da quasi tre anni. Sono stati
quindi tre anni di sofferenze intollerabili per la popolazione civile e in particolare
per i bambini. Noi chiediamo alle Nazioni Unite e ai leader mondiali che anche loro
si indignino, affinché facciano qualcosa di serio e di sensato per mettere fine a
queste vergognose atrocità e che cerchino una soluzione diplomatica del conflitto
in maniera molto forte, molto seria e che nell’’immediato si garantisca l’accesso
umanitario nel migliore dei modi per soccorrere o quanto meno aiutare queste vittime
della guerra. Ovviamente stiamo facendo tutto il massimo, stiamo fornendo beni di
prima necessità, cibo, medicine, ma ovviamente non riusciamo a raggiungere certe zone
per motivi di conflitti vari, di insicurezza, di guerra.
D. - I vostri partner
locali cercano di interagire con le parti in conflitto o trovano l’incomunicabilità
totale?
R. - Lavoriamo sia nelle zone occupate dall’esercito governativo che
in quelle che sono invece dominate dalle forze ribelli. Ovviamente per portare il
soccorso c’è bisogno - in qualche modo - di trovare una qualche forma di comunicazione
che, se a volte c’è, ovviamente non è sempre facile. Spesso è difficoltosa, spesso
non si riesce ad intervenire come vorremmo. Proprio per questo motivo chiediamo all’Assemblea
delle Nazioni Unite e ai leader mondiali delle Comunità internazionale di garantire
un immediato accesso umanitario a tutte le parti, a tutto il Paese.