Crisi umanitaria in Darfur: condizioni dei profughi al limite della sopravvivenza
Resta grave la crisi umanitaria del Darfur in Sudan. Dal 2003, quando è iniziata la
guerra civile, le Nazioni Unite hanno contato 400mila morti. Sarebbero invece 300mila
gli sfollati dall’inizio del 2013. La maggior parte dei profughi prova a fuggire in
Ciad ma resta coinvolta nelle violenze dei miliziani. Sulle difficoltà che soffre
la popolazione civile, Elvira Ragosta ha intervistato Antonella Napoli,
giornalista e presidente di Italians for Darfur:
R. - Le condizioni
sono proprio al limite della sopravvivenza, anche a fronte del fatto che molte organizzazioni
non governative sono state espulse dal Darfur. Le condizioni igienico-sanitarie sono
precarie, quindi la maggior parte dei casi di morte sono dovuti a problemi di infezioni
intestinali, di dissenteria; c’è poi la malaria che miete molto vittime e anche diversi
casi di febbre gialla. Nell’area del nord del Darfur c’è poi un’altra emergenza che
è quella del diabete.
D. - Chi sono i responsabili di queste violenze?
R.
- Sono vari gruppi armati, non sempre ben identificabili. La gran parte sono fuoriusciti
dalle milizie arabe dei Janjaweed, che la Corte Penale Internazionale ha considerato
il braccio armato di Bashir, il presidente del Sudan, che avrebbe usato questi “diavoli
a cavallo” - letteralmente i Janjaweed - per sterminare le popolazioni del Darfur.
Però ci sono anche scontri all’interno stesso delle fazioni filoarabe per la gestione
di risorse e territori, perché vogliono avere il predominio sulle aree di pascoli
o agricole.
D. - La popolazione civile prova a scappare nel vicino Ciad, ma
la maggior parte muore durante il viaggio: perché?
R. - Perché il territorio
è molto ampio; c’è da attraversare un deserto e poi, appunto, ci sono queste incursioni
contro qualsiasi gruppo che sia in possesso anche soltanto di risorse alimentari o
di mezzi, per poter fare razzia. Quindi il viaggio, quasi sempre, si interrompe prima
di arrivare ai luoghi di salvezza, di speranza… Per questi sfollati arrivare in un
campo è l’unico modo per sopravvivere!
D. - Sulla popolazione civile, che non
è coinvolta negli scontri tra fazioni del Darfur, cosa possiamo dire?
R. -
La popolazione del Darfur fondamentalmente vorrebbe ottenere due cose: la giustizia,
perché nonostante vi siano dei mandati di arresto per alcuni esponenti del governo
di Bashir e Bashir stesso, questa giustizia sembra molto lontana; e poi quella di
una soluzione della crisi, che purtroppo langue da oltre 10 anni e nonostante vi sia
un intervento molto forte da parte delle Nazioni Unite. Essendo il territorio molto
vasto e le emergenze continue, non si riesce a far fronte a tutte le necessità del
gran numero di sfollati che purtroppo aumenta di giorno in giorno.
D. - Secondo
lei, come si uscirebbe nell’immediato da questa crisi del Darfur?
R. - Se non
c’è una soluzione geopolitica, quindi la demarcazione di territorio e la definizione
di ruoli amministrativo-politici, cercare di soddisfare quello che il Darfur fondamentalmente
cosa chiede: e cioè che la popolazione locale possa gestire le proprie risorse, che
non sia sempre e solo il governo centrale ad avere l’ultima parola su quelle che sono
le risorse presenti sul territorio. Spesso i governi locali sono fantocci nella mani
di Khartoum e questa cosa comporta una continua ribellione da parte delle realtà locali.