E' di almeno sette morti e 15 feriti il bilancio dell'esplosione di un'autobomba a
Tadamon, un quartiere meridionale di Damasco. Lo riferisce l'Osservatorio siriano
per i diritti umani. I responsabili dell'attacco, secondo l'emittente televisiva di
Stato, sono le forze ribelli dell'opposizione al regime di Assad. Da mesi il quartiere
di Tadamon è un campo di battaglia per il conflitto tra i ribelli e le forze governativo,
e l'esplosione è avvenuta in uno dei pochi punti ancora controllati dall'esercito
siriano. Intanto, è stato confermato il sequestro dell’inviato di El Periodico, Marc
Margineda. Tutto questo mentre all’Assemblea generale dell'Onu i leader stanno discutendo
sulla possibile risoluzione sulla Siria. Mosca ipotizza un accordo entro questa settimana.
Il nodo è il riferimento all’uso della forza. Fausta Speranza ne ha parlato
con Daniele De Luca, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università
del Salento:
R. – Visto che
l’uso della forza è stato in forse, o meglio, c’è stato un effetto elastico tra "attacchiamo-non
attacchiamo", soprattutto quando si tratta dell’Onu bisogna stare attenti a giustificare
l’adozione degli articoli preposti all’uso della forza. La Russia si sta impegnando
sempre di più in questa operazione internazionale e fa le debite pressioni anche sul
regime di Assad perché gli impegni presi vengano rispettati. Se questo è lo scenario,
continuare ad insistere sull’uso della forza mi sembra quantomeno inopportuno. Credo
che i siti, in un modo o nell’altro, fossero conosciuti: quindi, si sapeva che la
Siria aveva le armi chimiche, probabilmente una parte dei siti era conosciuta … Ora,
credo che Assad abbia preso un impegno forte con il suo protettore del Nord, cioè
la Russia, e quindi qualsiasi atteggiamento, qualsiasi azione debba intraprendere
o si consulta con Mosca, o deve stare molto attento a come si comporta: Assad ha troppi
occhi puntati addosso! Quelli degli Stati Uniti, quelli francesi, che sono anche quelli
dell’Iran, alleato storico e che è interessato ad entrare nel processo di pace … A
Sud c’è Israele … Quindi, deve fare particolare attenzione, in questo momento, a cosa
farà e a qualsiasi tipo di atteggiamento deciderà di intraprendere.
D. – Bisogna
dire però che mentre i “grandi” discutono, l’Unicef lancia un appello per qualcosa
di molto concreto: cioè, servirebbero corridoi umanitari per salvare civili e bambini
…
R. – E’ un problema che è sorto fin dall’inizio della guerra civile. Basti
pensare ai campi profughi installati rapidamente nel momento in cui si è creata la
questione dei profughi. Se il problema dei bambini o delle donne, o dei profughi in
generale, era serio già all’inizio, figuriamoci adesso, dopo due anni di guerra civile!
D.
– Si parla dei profughi fuori degli altri Paesi, invece sembra molto più difficile
avere il controllo della situazione nel Paese. Si continua a morire – decine di morti
nelle ultime 24 ore – e una situazione sostanzialmente di mancanza di controllo del
territorio: è così?
R. – E’ così: sembrava da un po’ di tempo che il potere
centrale stesse cominciando a ricontrollare il territorio; questo, naturalmente, ha
portato a contrattacchi da parte dei ribelli e questo porta ad una totale instabilità
sul terreno, e la totale instabilità e l’insicurezza sul terreno portano ad un incremento
di gente che fugge. Quindi, è ancora più complicato poter gestire la questione. Da
un punto di vista strettamente militare, in questo momento non si sa di preciso come
stanno andando le cose. Se l’esercito siriano sembrava aver ripreso il controllo in
varie roccaforti, in vari capisaldi dei ribelli, adesso, anche per non esasperare
la situazione militare, il regime di Assad mostra serie difficoltà sul campo.
In
Siria sono almeno due milioni i bambini che combattono la guerra contro la fame. Lo
denuncia Save the Children che ha presentato un rapporto oggi, in occasione dell’apertura
dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, alla quale l’organizzazione chiede di
intervenire immediatamente. Nel documento, che riporta diverse testimonianze, si
racconta dei 7 milioni di abitanti caduti in povertà dall’inizio del conflitto, di
come nelle aree rurali di Damasco un bambino su venti sia malnutrito, mentre il 14%
sia affetto da malnutrizione grave. Le famiglie, spiega ancora Save the Children,
non sono più in grado di produrre o comprare cibo. E' stato quindi istituito il numero
verde telefonico al quale chiamare nel caso si volesse sostenere gli interventi nell'area:
800 68 50 00. Francesca Sabatinelli ha intervistato il portavoce in Italia,
Filippo Ungaro: