Cortile dei Gentili con i giornalisti. Il card. Ravasi: verità e parola al centro
dell'incontro
Nuovo appuntamento romano per il ‘Cortile dei gentili’, la struttura vaticana dedicata
al dialogo con i non credenti gestita dal Pontificio Consiglio della Cultura. Oggi
al Tempio di Adriano, in Piazza di Pietra, va in scena ‘Il Cortile dei giornalisti’
con l’intento di stabilire una prima riflessione tra operatori dell’informazione credenti
e non credenti su varie tematiche. Protagonisti saranno, questa volta, alcuni dei
più importanti direttori della carta stampata. Ad aprire l’incontro un dialogo tra
il fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, e il presidente del dicastero della
cultura, cardinale Gianfranco Ravasi che - al microfono di Fabio Colagrande
– riassume le principali tematiche di questo nuovo ‘Cortile’ e riflette sull’attuale
rapporto fede e giornalismo:
R. – La riflessione
più suggestiva credo si possa condurre prima di tutto sulla categoria “verità”, che
è una delle categorie fondamentali, anche, nell’interno della comunicazione stessa.
Un altro capitolo è il capitolo della “persona”, perché naturalmente viene coinvolta
nella comunicazione la persona, qualche volta anche in maniera aggressiva, e quindi
sarà da riflettere anche su una sorta di deontologia della comunicazione. Un terzo
motivo di riflessione riguarda proprio la “dimensione religiosa”: il fenomeno religioso
è diventato ormai sempre più incisivo, sempre più interessante in questi ultimi tempi,
soprattutto da quando è emersa sulla scena la figura di Papa Francesco. E da ultimo,
io direi anche: ritornare ancora a riflettere sul valore della “parola”. E questo
è uno degli ambiti in cui credenti e non credenti si ritrovano, perché da un lato
la religione ebraico-cristiana, soprattutto la cristiana, ha in principio la “parola”:
la grande analogia, la grande via per parlare di Dio è quella della parola. E nel
mondo dei laici, la parola è pur sempre il grande tramite della comunicazione culturale.
D.
– A conferma di quanto lei dice, proprio alla vigilia di questo Cortile dei giornalisti,
un quotidiano italiano, che recentemente aveva pubblicato una lettera di Papa Francesco,
pubblica un articolo del Papa emerito che, con una lettera, risponde a Piergiorgio
Odifreddi. Come interpretare questa scelta di Benedetto XVI, e come leggere le sue
parole rivolte a questo matematico?
R. – Abbiamo assistito certamente, in questi
ultimi giorni, ad un evento abbastanza straordinario, qualcosa che non era nella prassi
comune. Infatti, due Pontefici – il Pontefice emerito e l’attuale – sono intervenuti
direttamente nell’arena della comunicazione di massa, soprattutto di quella giornalistica.
Per quanto riguarda Odifreddi, in maniera particolare, vorrei sottolineare il fatto
che non si tratta semplicemente di un dialogo di tipo giornalistico, ma si tratta
di una riflessione sistematica che il Papa ha fatto su un testo che era anche provocatorio,
che era un testo molto discutibile in alcuni suoi ambiti, e con molta accuratezza
cerca di individuarne i nodi fondamentali. Questo, a mio avviso, diventa anche una
lezione, non soltanto per noi che operiamo nel mondo della cultura, ma anche per la
pastorale in senso lato. Sarà necessario non temere di entrare nella piazza, di entrare
nel groviglio della comunicazione attuale da parte del Pastore o da parte, comunque,
del credente, portando le ragioni della sua speranza, le ragioni della sua fede. Sottolineo
proprio la dimensione “ragioni”, cioè le sue motivazioni, perché abbiano ad essere
ascoltate.
D. – Come giudicare dunque la scelta del Papa emerito che scrive
a Odifreddi “Le sue opinioni su Gesù non sono degne del suo rango scientifico”, ma
anche parole di apprezzamento per l’atteggiamento di dialogo del matematico?
R.
– Io penso che proprio il Cortile dei Gentili che noi abbiamo costituito e che celebreremo
in forme diverse, si può dire, ormai in tutto il mondo, abbia proprio questa duplice
caratteristica costante, che è bene espressa proprio da questo testo di Benedetto
XVI. Non dimentichiamo mai che il Cortile dei Gentili è nato direttamente su una sua
sollecitazione in un discorso tenuto alla Curia Romana. Ebbene, da un lato il confronto
deve avere la qualità di un confronto nobile, alto. Per questo credo che nell’interno
del libro discutibile di Odifreddi sia stato importante identificare anche quei nodi
che avevano una loro dignità, anche dal punto di vista religioso. Quindi, un confronto
che sia un confronto condotto con la qualità delle argomentazioni, con la nobiltà
– anche – dell’intelligenza che si interroga. Dall’altra parte, però, è fuor di dubbio
che il confronto, ad un certo momento, debba essere, se è dialogo, anche riconoscimento
delle diversità che esistono, e quindi deve avere anche, in certi momenti, una sorta
di incandescenza che non è quella del sarcasmo, come purtroppo alcune volte era accaduto
con Odifreddi, ma con un rigore, con una fermezza per cui i due presentano la loro
identità e, se l’identità di uno merita un giudizio negativo, esso dev’essere espresso
in una forma diretta, immediata e efficace.