Scuole iniziate ma la continuità didattica deve ancora venire
''La politica non sprechi questo momento più favorevole'' nel quale ''dobbiamo fare
tutti la nostra parte per far crescere i semi che appaiono per un miglioramento della
nostra situazione''. Lo ha detto ieri il Presidente della Repubblica Giorgio Giorgio
Napolitano alla cerimonia di inaugurazione dell'anno scolastico. Il Capo dello Stato
ha chiesto più ricerca e innovazione contro la mancanza di lavoro e affermato che
la scuola ha subito tagli miopi. Ilo servizio di Alessandro Guarasci
Le
scuole sono iniziate da poco più da una settimana. E i mali del nostro sistema formativo
tornano ad affacciarsi. Non solo i genitori sono costretti a portare da casa per i
loro figli carta igienica, sapone, e quant’altro serve, ma spesso nelle classi si
assiste a una girandola di insegnanti. La Fondazione Agnelli nel 2011 calcolava che
più del 14% degli insegnanti va incontro alla probabilità di cambiare scuola. Stime
dicono che sarebbero circa 200 mila gli insegnanti che ogni anno cambiano cattedra.
I precari sono 167 mila, 62 mila i trasferimenti registrati al 1° settembre 2013.
I casi sono tanti. Concetta gira i paesi del crotonese per racimolare 11 ore settimanali,
Francesca ogni giorno dalla Brianza arriva a Milano nel caso “ci fosse una chiamata
da un istituto”, a Roma nella classe 1G della primaria Manzoni su 40 ore settimanali
33 sono assegnate a maestre non di ruolo. “L’organico è sottodimensionato” dice la
preside. Un caso limite quello di Roma, comunica il ministero, ma l'ufficio scolastico
non ha mai risposto ai genitori dei bambini. Insomma, la continuità didattica, spesso
è sulla carta. Rosario Drago ha fatto parte dell’associazione presidi e per
dieci anni è stato consulente dei ministri dell’istruzione:
"L’Ocse ci dice,
da almeno 15 anni, che uno dei pilastri dell’efficacia dell’insegnamento è la stabilità
del corpo docente, sia a livello di singolo gruppo degli alunni, sia a livello di
istituzione scolastica. Questo che dovrebbe essere un obbiettivo di qualità del nostro
sistema, è ignorato. Paradossalmente l’immissione in ruolo attiva tutta la gamma delle
opportunità contrattuali per cambiare posto; cioè, l’insegnante ha sette possibilità
di cambiare posto per interessi personali, legittimi, evidentemente”.
I
sindacati parlano di un’istruzione a spezzatino, disomogenea tra Nord e Sud e tra
città e campagne. Il coordinatore nazionale del Gilda, il sindacato insegnanti Rino
Di Meglio:
R. - Bisognerebbe che chi governa tenesse in maggior conto l’interesse
primario dei bambini ad aver un insegnante stabile che resti almeno per tutti il ciclo
didattico.
D. - Quanta responsabilità c’è da parte dei dirigenti scolastici
nella formazione delle classi e in questa mancanza di continuità didattica?
R.
- Direi che i dirigenti scolastici hanno una responsabilità limitata. Se si eccettua
qualche caso di scarsa esperienza, di errori, direi che loro sono con le spalle al
muro perché il sistema è complicato.
D. - Si è parlato molto dei 69 mila insegnati
che entreranno nei prossimi tre anni con il decreto del ministro Carrozza. Non c’è
il rischio che però buona parte di questi 69 mila insegnati vadano a coprire il normale
turnover, ovvero le persone che vanno in pensione?
R. - Se si eccettuano quelli
che poi verranno nominati per il sostegno, che sono le uniche vere stabilizzazioni,
per il resto si tratta semplicemente di turnover. Quindi inciderà minimamente sulla
questione del precariato, che resterà endemico. Mi lasci dire una cosa: la spesa ridicola,
prevista dal Decreto per la stabilizzazione - 105 milioni - dimostra che il governo
con un po’ più di coraggio avrebbe potuto non dico risolvere, ma avviare finalmente
verso la soluzione del sistema del precariato. Se avessero speso 200 milioni, ne avrebbero
stabilizzati 130 mila. In questo modo si sarebbe limitato di molto il fenomeno del
precariato e della discontinuità didattica.
Certo i 400 milioni di euro messi
dal governo sono un primo passo, ma ne vanno fatti altri, perché da una decina di
anni a questa parte la scuola è stata utilizzata per ridurre le uscite del bilancio
statale. E così è stato tagliato il futuro. Gianni Nicolì, responsabile dell’ufficio
scuola e università dell’Age.
R. - La scuola italiana soffre di problemi cronici
e di problemi nuovi. La continuità didattica è collegata alle nomine che vengono fatte
in primavera. Però, per la questione delle graduatorie molte di queste poi vanno ristabilizzate
all’inizio di ogni anno scolastico. Questo crea agli alunni, alle famiglie e alle
scuole stesse un disagio organizzativo di cui si risente. Negli ultimi anni si è cercato
di limitare questo danno, ma ci deve essere ancora uno sforzo significativo da parte
del ministero e dei sindacati per consentire alle famiglie un avvio normale e corretto
dell’anno scolastico.
D. - I genitori devono contare di più nelle scelte delle
scuole?
R. - Assolutamente sì! I genitori non sono clienti della scuola, sono
componente scolastica; questo lo sappiamo fin dal 1974. Noi dell’Age – Associazione
italiana genitori – siamo fortemente impegnati perché il genitore si assuma nella
scuola i suoi diritti e i suoi doveri. Per cui i genitori devono essere bene accolti
nella scuola, collocati nel loro ambito -non possono ovviamente sostituire il lavoro
dei docenti -, devono poter dare il loro contribuito e quindi ci devono essere nel
mondo giusto.
Insomma serve investire di più, puntare anche sulla formazione
degli insegnanti. Mons. Gianni Ambrosio, presidente della Commissione Cei per
la Scuola
R. - Osservando un po’ anche il panorama europeo, occorre dire che
sia per l’aspetto quantitativo, come anche per quello qualitativo, noi siamo un po’
alla rincorsa di quei traguardi che altrove sono già stati raggiunti. Ci vorrebbe
davvero un impegno più grande da parte di tutti!
D. - Questo vuol dire maggiori
investimenti nella formazione dei docenti e maggiori investimenti nel ricorso alle
nuove tecnologie …
R. – C’è una sorta di sottoconsiderazione o di non adeguata
considerazione di questa missione che i docenti svolgono ad ogni livello, dalle classi
più piccole fino all’università. Dobbiamo riprendere, lì, una maggior valorizzazione
anche delle notevoli capacità che molti docenti hanno, perché fanno questo lavoro
- ministero, servizio - importante con grande passione.
D. - Lei si attende
da qui a fine anno un maggior riconoscimento del rapporto dato dalle scuole paritarie
al sistema educativo?
R. - Certamente, anche perché sarebbe di estrema convenienza
per il sistema scolastico nella sua interezza, nella sua globalità. Le scuole paritarie
fanno parte dell’unico sistema scolastico. Allora dovrebbero esser maggiormente valorizzate,
apprezzate, aiutate in ogni senso. Questo sarebbe innanzi tutto a beneficio dei ragazzi
e degli studenti, ma poi a beneficio dell’intera società.