Negoziati Santa Sede-Israele. Padre Neuhaus: progressi lenti, ma c'è speranza
20 anni fa prendevano il via i lavori della Commissione per i Rapporti tra Santa Sede
e Israele, dopo il riconoscimento formale nel 1993 da parte della Santa Sede dello
Stato di Israele che apriva la strada alle piene relazioni diplomatiche. In questo
periodo tanta strada è stata fatta e ancora si lavora per arrivare a un accordo su
diverse questioni. Fausta Speranza ha incontrato padre David Neuhaus,
che a Gerusalemme è vicario del patriarcato latino per i cristiani di espressione
ebraica:
R. - Le cose
sono progredite molto lentamente e noi speriamo con tutto il cuore di essere arrivati
alla fine di questo lunghissimo processo. Ci sono tantissime istituzioni della Chiesa
in Israele e questo ha dato vita ad una situazione molto complicata. C’è poi un’altra
questione molto complessa, quella dei rapporti tra Israele ed il popolo palestinese,
questioni tra l’altro di frontiere. Speriamo vivamente di giungere presto alla fine:
gli accordi finali saranno firmati dalla Chiesa e dallo Stato di Israele. Speriamo
che questo vada a beneficio della Chiesa: abbiamo ancora tanti interrogativi in merito
all’applicazione di questo accordo e all’influenza che questo potrà avere sulla vita
della Chiesa.
D. – Ci fa un esempio concreto di queste attese nella vita quotidiana
della Chiesa?
R. – La Chiesa cattolica in Terra Santa dipende molto dai religiosi
e dalle religiose che vengono da fuori. Come sarà regolato l’accesso allo Stato di
Israele per coloro che vengono da fuori, specialmente per coloro che provengono –
secondo gli israeliani – da Paesi nemici come la Siria e l’Iraq? Quali diritti sociali
e civili saranno riconosciuti alle persone la cui presenza in Terra Santa è richiesta
per lunghissimi periodi? Poi c’è la questione dello status delle proprietà della Chiesa,
terreni, edifici. E c’è da capire quali tasse pagare. In passato abbiamo avuto determinate
facilitazioni per il riconoscimento che la Chiesa è lì da sempre e serve tutti …
D.
– Parliamo della presenza dei cattolici di lingua ebraica: anche loro diminuiscono
un po’ come i cristiani in altre zone del Medio Oriente?
R. – No. Se ci si
riferisce ai cristiani di lingua araba c’è una certa diminuzione a livello statistico:
in Israele, per esempio, la popolazione dei cristiani di lingua araba cresce ma meno
rispetto alla popolazione ebraica e musulmana. Diminuiscono quindi dal punto di vista
statistico. Ma i cattolici che vivono nella società ebraica, e quindi in un ambiente
dove si parla la lingua ebraica, crescono moltissimo. Per la stessa ragione per cui
aumentano i cristiani nel Golfo arabo: sono migranti che vengono in Israele per lavoro
o chiedendo asilo politico. Ci sono quindi nuove generazioni di cattolici di lingua
ebraica che non sono israeliani, che non sono di origine ebraica, che non hanno nessun
ebreo nella loro famiglia, ma parlano ebraico perché nascono e crescono in questa
società. Sono nati quindi da famiglie immigrate per questioni di lavoro, che nella
maggioranza assoluta provengono dall’Asia, o da famiglie che chiedono asilo in Israele,
e la maggior parte di queste vengono dall’Africa.
D. – Che dire del riferimento
di Papa Francesco agli ebrei contenuto nella lettera che ha scritto a Scalfari?
R.
– Parla della fedeltà a Dio e di come gli ebrei siano stati capaci di conservare questa
fede, malgrado tutto ciò che è successo loro. Questo è un bel segno di fedeltà, di
questa alleanza che non è mai stata abrogata da Dio. Per noi, è molto importante ripetere
questi messaggi, per cambiare un po’ la percezione della Chiesa tra gli ebrei. Per
noi è molto chiaro lo sviluppo bellissimo ed importantissimo che c’è stato con il
Concilio. Cerchiamo di far conoscere ai nostri fratelli e sorelle ebrei questo sviluppo
nella Chiesa cattolica; però, dobbiamo anche ammettere che la Chiesa cattolica non
è un’istituzione così importante per la vita quotidiana degli ebrei in Israele: loro
rimangono lontani dalla Chiesa e molto spesso ignorano i cambiamenti nella vita della
Chiesa. Per questo noi cerchiamo con grande impegno di raccontare per esempio quello
che ha detto Papa Francesco. Ci sono cambiamenti positivi ed è importante che in Israele
ne sentano parlare. I viaggi dei Papi sono sempre un’occasione particolare. Speriamo
quindi che Papa Francesco venga presto in Terra Santa.