Padre Spadaro: un'intervista a tutto campo che mostra la figura del Papa al di là
degli stereotipi
Come è nata l’idea di questa intervista al Papa da parte di Civiltà Cattolica. Fabio
Colagrande lo ha chiesto al direttore, padre Antonio Spadaro:
R. - L’idea
è nata parlando con gli altri direttori delle riveste gesuite d’Europa e del continente
americano. Parlando insieme, abbiamo espresso il desiderio - nel giugno scorso - di
poter intervistare il Papa, rivolgere a lui alcune domande importanti sulla sua vita
spirituale, sulla vita da gesuita, cosa significhi essere Papa per un gesuita e, d’altra
parte, anche quali sono le prospettive sulla Chiesa… Capire, insomma, un po’ chi è
Jorge Mario Bergoglio, chi è questo Papa e capire qual è la sua visione della realtà.
Quindi abbiamo deciso insieme di chiedere al Papa questa intervista: lo ho fatto nell’incontro
che ho avuto, un incontro previo, con il Papa prima dell’udienza a Civiltà Cattolica,
lo scorso 14 giugno. E il Papa, dopo qualche esitazione ha accettato. Ecco, da quel
momento abbiamo riflettuto su come fare e alla fine abbiamo deciso di incontrarci.
D. - Sono stati tre gli appuntamenti durante i quali lei ha, in qualche modo,
raccolto questa intervista. Qual è stato l’atteggiamento del Santo Padre durante questo
lungo colloquio?
R. - Posso dire che è stata una vera e propria esperienza
spirituale stare con lui. Parlare con Papa Francesco significa stare accanto ad un
vulcano, un vulcano di idee, di visione. Quindi anche un’esperienza umana molto forte.
Non è stata una tradizionale intervista fatta di domande e di risposte. E’ stata una
vera e propria conversazione a tutto campo, una conversazione che abbiamo poi ricostruito
- il Papa ha letto il testo ovviamente prima della sua pubblicazione - e dove è apparsa
una figura che - come dire - cancella gli stereotipi, capace soprattutto di offrire
un modello di Chiesa: questa immagine dell’ospedale da campo, ad esempio, che lui
nell’intervista offre per me è splendida... Ecco, un’immagine di Chiesa, una visione
della realtà, un modo di annunciare il Vangelo. Tutto questo - direi - alla luce della
sua esperienza personale che emerge con grande forza, con grande incisività nelle
parole che afferma. Normalmente il Papa fa degli esempi concreti, anche tratti dalla
sua esperienza personale.
D. - Colpisce che nella prima parte di questo lungo
colloquio, Papa Francesco si definisca “un peccatore al quale il Signore ha guardato”…
R.
- Sì. Direi che la prima domanda, appunto, che ho posto al Papa è: “Chi è Jorge Mario
Bergolio?”. Devo dire una domanda che non avevo previsto, ma che mi è venuta in mente
lì. sul momento… Anche il Papa, devo dire, è rimasto un po’ perplesso a pensare su
chi egli fosse. Ma la prima risposta che gli è venuta è proprio questa: “Sono un peccatore”.
Poi ha voluto continuare a riflettere su questo, trovando quella splendida immagine
della vocazione di San Matteo di Caravaggio.
D. - Rispondendo sul tema delle
tanto dibattute riforme, Papa Beroglio - nell’intervista a Civiltà Cattolica - sottolinea
l’importanza del discernimento, prima di giungere ad una riforma…
R. - Sì.
Il discernimento è ciò che caratterizza la spiritualità ignaziana e quindi si comprende,
leggendo l’intervista, anche lo stile di governo che il Papa ha e ha avuto anche nel
passato come arcivescovo cardinale di Buenos Aires. E’ un atteggiamento che si fonda
sul discernimento spirituale. Quindi il Papa non è una persona decisionista, nel senso
che è appassionato delle decisioni; lui è appassionato del Signore, vuole seguire
il Signore e lo segue riconoscendolo in ciò che accade e nella preghiera, nella vita
di preghiera di cui si parla nell’intervista. Il discernimento è cercare e trovare
Dio in tutte le cose, in tutti gli eventi e quindi un’altra grande impressione che
ho avuto dopo questo colloquio è che il Papa non vive in una bolla, ma è perfettamente
consapevole di quello che si vive attorno a lui e nel mondo.
D. - Il primo
Papa gesuita della storia dà anche la sua definizione della Compagnia di Gesù: la
Compagnia è in se stessa decentrata. Il gesuita è un decentrato. E’ d’accordo con
questa definizione come gesuita, padre Antonio?
R. - La definizione è splendida!
Addirittura il Papa dice che il gesuita è un uomo dal pensiero incompleto, nel senso
che punta sempre a un di più, a un comprendere meglio. Da qui si comprende anche la
vita mistica dalla quale il Papa è affascinato. In fono in questa intervista dice
chiaramente chi è per lui Sant’Ignazio: non è un asceta, ma un mistico, un uomo che
vive il suo rapporto con Dio.
D. - Il Papa sottolinea anche la sua idea di
Chiesa: “La Chiesa - dice - è feconda e deve esserlo”. E - come ricordava lei, padre
Spadaro - sottolinea: “Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo, dopo una battaglia”…
R. - Questa è un’immagine straordinaria, che penso sia proprio il cuore dell’intervista.
Qui il Papa propone la sua visione della Chiesa, che vive in mezzo alle frontiere,
che quindi è completamente sbilanciata - come dice, appunto, il Papa - in quelle che
sono le situazioni di maggiore urgenza; che è accanto all’uomo; che cammina accanto
all’uomo ferito. In fondo, il Papa dice: “Il rapporto con Dio si costruisce dal luogo
in cui si abita, dal luogo in cui si è”. Non dobbiamo immaginare un rapporto con Dio
che nasce dal luogo in cui bisognerebbe essere. E, a volte, l’uomo è ferito: “Non
bisogna perder tempo a - come dice lui - misurare il colesterolo, quando c’è una persona
che sta morendo”. Quindi tutta l’attenzione del Papa, in questo caso, è alle persone
che più hanno bisogno del rapporto con Dio e che magari sono più ferite.
D.
- E, infatti, proprio su questioni complesse - come quella dei divorziati risposati,
come quella delle persone omosessuali - il Papa - nella vostra intervista - sottolinea
l’importanza di “accompagnare con misericordia”. E ancora dice, parlando in qualche
modo della nuova evangelizzazione, “l’annuncio di tipo missionario si concentra sull’essenziale”…
R. - Sì, il Papa è affascinato dal mistero dell’uomo ed è affascinato dal
modo in cui il Signore parla ad ogni singola persona, come dicevo, a partire dal punto
di "vita" - direi quasi - in cui si trova. Quindi, questa dimensione di misericordia,
che è presente anche nel suo motto episcopale in maniera molto chiara e che nell’intervista
ha riconfermato, rivela il volto di Dio. Quindi nessuno è escluso dalla grazia di
Dio. Nessuno è lontano: per quanto si possa sentire lontano, non lo è mai perché il
Signore ci cerca prima ancora che noi lo cerchiamo.
D. - C’è, infine, un passaggio
dell’intervista di Civiltà Cattolica al Papa che riprende un tema già toccato dal
Pontefice nella sua ormai nota lettera ad Eugenio Scalfari, laddove scriveva che “la
verità è innanzitutto relazione. Non è assoluta”. Il Papa vi ha detto: “Dio lo si
incontra camminando, nel cammino”… Chiudiamo con questo concetto molto profondo, sottolineato
dal Papa sulle pagine di Civiltà Cattolica.
R. - Sì, la verità è Cristo, la
verità è una persona. Quindi non esiste una verità assoluta, nel senso della verità
sciolta, che va quindi al di là di ogni legame. La verità è sempre relativa a un contesto,
a una persona, perché è Cristo che si relaziona con ogni singola persona. Interpretare
queste parole come un inno al relativismo, è perdere completamente la dimensione corretta
di lettura delle parole del Papa. In fondo il Papa qui sta dicendo che se non c’è
un rapporto vero tra me e Dio, non ci può essere una norma o un concetto astratto
che può farmi vivere una vita di fede. Allora la verità si incarna in un contesto
personale e tocca il cuore di ciascuno, inteso come il suo centro vitale, la sua vitalità.