Colpi di mortaio sull’arcivescovado melkita di Aleppo. Mons. Jeanbart: città strangolata
In una Aleppo "assediata", il conflitto tocca anche le chiese. Come riferisce all’agenzia
Fides Jean-Clément Jeanbart, arcivescovo melkita di Aleppo, nella notte di giovedì
scorso “due colpi di mortaio hanno danneggiato la sede del nostro arcivescovado greco-cattolico:
non vi sono vittime solo perché i colpi sono esplosi di notte”. Il presule afferma:
“La città è strangolata e la situazione peggiora di giorno in giorno. Come cittadini
ci sentiamo intrappolati, e non sappiamo quale sarà il nostro destino. Le merci scarseggino
o hanno prezzi altissimi, la gente ha problemi per la sussistenza quotidiana”. Per
questo, prosegue l’arcivescovo, “i fedeli continuano a fuggire, l’esodo prosegue e
se vedono gli effetti anche sulle coste delle nazioni europee”. “Da due anni offriamo
ai fedeli consolazione sostegno morale, ma più passa il tempo, più diventa difficile
persuaderli a restare”, racconta. “Eppure noi cristiani in Siria abbiamo una missione:
quella del dialogo, della pace, della riconciliazione, di tenere accesa una luce di
fede, di speranza e carità. E vogliamo tener fede a questa missione”. Ma, per farlo,
le armi debbono tacere. Oggi, in una intervista al quotidiano inglese “Guardian”,
il vice primo ministro siriano Qadri Jamil ha detto, a nome del suo governo, che “la
situazione è in stallo, dato che né il regime, né l'opposizione armata sono in grado
di prevalere”, lanciando la proposta di un “cessate-il-fuoco e l'avvio di un processo
politico pacifico”. La proposta trova il favore della Chiesa siriana: “Siamo senz’altro
favorevoli a una tregua, a ogni passo utile per fare cessare le violenze e promuovere
una soluzione pacifica”, nota mons. Jeanbart. “Se ci fosse un impegno delle parti
in lotta a far tacere le armi, sarebbe un raggio di speranza”. Il punto è che “oggi
vi sono miriadi di gruppi armati incontrollabili e anche irriducibili”, spiega. Secondo
informazioni raccolte da Fides, sia i gruppi di militanti jihadisti, sia le milizie
degli “shabiha” pro regime, sono fuori controllo ed è difficile garantire una tregua
effettiva sul terreno. Tuttavia “la comunità internazionale ha il dovere di provarci,
per porre fine alla immane sofferenza che il popolo siriano vive da due anni e mezzo”,
conclude l'arcivescovo.