2013-09-20 14:51:15

Colpi di mortaio sull’arcivescovado melkita di Aleppo. Mons. Jeanbart: città strangolata


In una Aleppo "assediata", il conflitto tocca anche le chiese. Come riferisce all’agenzia Fides Jean-Clément Jeanbart, arcivescovo melkita di Aleppo, nella notte di giovedì scorso “due colpi di mortaio hanno danneggiato la sede del nostro arcivescovado greco-cattolico: non vi sono vittime solo perché i colpi sono esplosi di notte”. Il presule afferma: “La città è strangolata e la situazione peggiora di giorno in giorno. Come cittadini ci sentiamo intrappolati, e non sappiamo quale sarà il nostro destino. Le merci scarseggino o hanno prezzi altissimi, la gente ha problemi per la sussistenza quotidiana”. Per questo, prosegue l’arcivescovo, “i fedeli continuano a fuggire, l’esodo prosegue e se vedono gli effetti anche sulle coste delle nazioni europee”. “Da due anni offriamo ai fedeli consolazione sostegno morale, ma più passa il tempo, più diventa difficile persuaderli a restare”, racconta. “Eppure noi cristiani in Siria abbiamo una missione: quella del dialogo, della pace, della riconciliazione, di tenere accesa una luce di fede, di speranza e carità. E vogliamo tener fede a questa missione”. Ma, per farlo, le armi debbono tacere. Oggi, in una intervista al quotidiano inglese “Guardian”, il vice primo ministro siriano Qadri Jamil ha detto, a nome del suo governo, che “la situazione è in stallo, dato che né il regime, né l'opposizione armata sono in grado di prevalere”, lanciando la proposta di un “cessate-il-fuoco e l'avvio di un processo politico pacifico”. La proposta trova il favore della Chiesa siriana: “Siamo senz’altro favorevoli a una tregua, a ogni passo utile per fare cessare le violenze e promuovere una soluzione pacifica”, nota mons. Jeanbart. “Se ci fosse un impegno delle parti in lotta a far tacere le armi, sarebbe un raggio di speranza”. Il punto è che “oggi vi sono miriadi di gruppi armati incontrollabili e anche irriducibili”, spiega. Secondo informazioni raccolte da Fides, sia i gruppi di militanti jihadisti, sia le milizie degli “shabiha” pro regime, sono fuori controllo ed è difficile garantire una tregua effettiva sul terreno. Tuttavia “la comunità internazionale ha il dovere di provarci, per porre fine alla immane sofferenza che il popolo siriano vive da due anni e mezzo”, conclude l'arcivescovo.

Ultimo aggiornamento: 21 settembre







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