Il card. Sede: "Napoli, patria amara sull'orlo del collasso"
“Vogliamo essere una Chiesa che non si rifugia nel silenzio, ma 'canta’ sia per esprimere
lode e ringraziamento al Signore della vita, sia per dare più voce contro i mali che
ci affliggono come l’ingiustizia che si fa sempre più largo e prevale, calpestando
la dignità e spesso distruggendo la vita di fratelli e sorelle”. Lo ha detto questo
giovedì -riferisce l'agenzia Sir - il card. Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli,
in occasione della festa di San Gennaro, nell’omelia dopo il prodigioso evento della
liquefazione del sangue del protettore della città e della diocesi. “Quanta sofferenza
nel mondo e nel nostro popolo! Sofferenza che vediamo, che ascoltiamo, che tocchiamo
con mano e che smorza anche la speranza dei più forti, soprattutto dei giovani - ha
denunciato il porporato -. È una sofferenza che viene dalla mancanza di lavoro, dalla
insufficienza del reddito, dagli egoismi e dalla intolleranza, dalle ingiustizie e
dalla prepotenza malavitosa, dalla crudeltà che talvolta diventa ferocia, dalla distruzione
dell’ambiente, dalle aggressioni personali, dalle incertezze e inefficienze”. Per
il cardinale, “Napoli oggi vive uno dei momenti più difficili e gravi della sua storia.
Gli effetti di una crisi, che pure ha origini lontane, sono qui vissuti in maniera
drammatica. Per tanti giovani, Napoli è sempre più una patria amara”. “La Chiesa di
Napoli - ha sostenuto il card. Sepe - ha dimostrato di saper guardare in faccia la
realtà e da essa sono partiti, in più occasioni, segnali di allarme che hanno poi
trovato eco più vasta. Penso, in particolare, alla salvaguardia dell’ambiente, un
reato, ma anche un vero e proprio 'peccato’, sempre più diffuso in questa società
egoista e consumistica”. È “la mentalità del profitto e dell’accaparramento brutale
e senza scrupoli che porta alla deriva di una sistematica e vandalica depredazione
ambientale: un vero e proprio stupro della natura, pagato a carissimo prezzo dai più
poveri, ma che colpisce, attraverso la diffusione di malattie terribili e spesso incurabili,
una grande fascia della popolazione”. Per il porporato, “siamo di fronte a varianti
diaboliche di quell’unico comparto della violenza organizzata, i cui fronti di attacco
alla città sono sempre attivi. Ma il malessere ha molte altre facce: tutte insieme
intristiscono e deturpano il volto di quella Napoli splendente di bellezza e di tante
virtù civiche che non possono diventare solo un richiamo del passato”. “Napoli, ma
non solo Napoli, è sull’orlo di un grave collasso - è l’allarme lanciato dall’arcivescovo
-. Si dice che il napoletano si piega ma non si spezza. Ma noi non vogliamo una città
piegata”. “Noi vogliamo una città e una comunità forte della sua dignità e ritta sulla
spina dorsale delle sue intelligenze e della genialità della sua gente, della sua
storia, della sua ricchezza umana e delle sue tante eccellenze”, ha chiarito il card.
Sepe, per il quale “non è più tempo di elemosine e di assistenzialismo. Non è questo
che chiede Napoli. Questa città vuole lottare per far emergere le tante potenzialità
e risorse, camminando sulle proprie gambe, ma ha bisogno di uomini e donne di buona
volontà che vogliano e sappiano amarla veramente e accompagnarla in questo cammino
che non è impossibile, anzi è doveroso e legittimo”. Con “questi uomini, che pure
ci sono e non sono pochi, e con questa città, la Chiesa di Napoli intende proseguire
il suo cammino e lottare” per il “bene comune”. “Vogliamo essere Chiesa, sull’esempio
e con la protezione di San Gennaro, camminando sulla scia del magistero di Papa Francesco,
che non si stanca di esortare a prendere la strada delle 'periferie esistenziali’
- ha aggiunto il porporato -. Non di altro è chiamata a vivere la nostra Chiesa se
non dell‘ansia di annunciare il Cristo della speranza. Nostro compito, grave e immenso
allo stesso tempo, è quello di spianare la strada, di liberarla il più possibile da
intralci e impedimenti, ben sapendo che neppure la Chiesa può compiere un cammino
in solitudine”. (R.P.)