"Teheran non avrà mai armi nucleari". Così il presidente iraniano Rohani
“L’Iran non avrà mai armi nucleari”. Il neopresidente Rohani, in un’intervista, imprime
una svolta radicale alla politica della Repubblica islamica, arrivando anche a proporre
un accordo con l’Occidente sul programma di arricchimento dell’uranio. La dichiarazione
è stata resa a pochi giorni dal viaggio a New York del capo dello Stato, che parteciperà
all’Assemblea Generale dell’Onu. Intanto il presidente americano Obama dà credito
all’apertura iraniana al dialogo. Per un commento sulla nuova situazione, Giancarlo
La Vella ha intervistato Alberto Negri, inviato speciale del Sole 24 Ore:
R. - Se c’è
stata una novità, è stato proprio questo scambio di lettere, nei giorni scorsi, sulla
crisi iraniana tra Obama e il nuovo presidente iraniano Rohani, seguite poi da queste
dichiarazioni del capo della Casa Bianca, che parlano di un Iran disponibile al dialogo.
Come si suol dire, “se son rose fioriranno”, perché - attenzione! - il contrasto tra
Stati Uniti e Iran esiste in realtà dal 1979 e precisamente da quel 4 novembre, quando
furono presi 52 ostaggi nell’ambasciata americana e furono rilasciati soltanto nel
gennaio del 1981. Le relazioni diplomatiche tra i due Paesi sono rotte, quindi, da
quasi 35 anni e questo rappresenta una delle costanti e dei fattori più condizionanti
della politica estera americana in Medio Oriente e di tutti gli equilibri strategici
nella regione. Se si verificasse un’apertura di dialogo concreta tra Washington e
Teheran, sarebbe certamente una svolta storica!
D. - Quali le conseguenze positive
per gli Stati Uniti e soprattutto per l’Iran?
R. – Innanzitutto, qui c’è un
problema in primo piano, che è il dossier nucleare iraniano sul programma di arricchimento
dell’uranio da parte dell’Iran. Due sono le strade, e il caso siriano rientra in questo
quadro. Gli Stati Uniti, pressati dal loro maggiore alleato nella regione e cioè Israele,
vogliono che l’Iran rinunci ad ogni programma di tipo nucleare, se non civile, e sia
sotto il monitoraggio costante degli ispettori delle Nazioni Unite. Questa è in realtà
la questione, perché sappiamo bene che Israele chiede continuamente a Washington che
venga anche tenuta sempre presente l’opzione militare. Quindi, un’apertura di questo
genere dovrebbe, in qualche modo, essere propedeutica a spianare la strada a un’intesa
internazionale sul nucleare iraniano. Poi, naturalmente, ci sono da menzionare anche
gli equilibri nel Golfo Persico, che sono un’altra delle costanti della politica estera
americana. Washington, oltre a Israele, ha come alleato principale l’Arabia Saudita,
cioè la petrol-monarchia sunnita più importante, che è anche quella che appoggia,
per esempio, i ribelli in Siria. Quindi un’apertura nei confronti dell’Iran potrebbe
anche probabilmente favorire un tentativo di accordo politico nella regione, sia per
la Siria, sia per il Golfo, con quello che è l’obiettivo fondamentale dell’Iran da
sempre, e che vorrebbe ottenere da Washington, cioè il riconoscimento di essere una
sorta di superpotenza regionale.