Mons. Lahham: in Giordania oltre un milione di profughi siriani, ma c'è solidarietà
Il conflitto in Siria mette in fuga quotidianamente migliaia di civili, che si riversano
nei Paesi confinanti. Secondo gli ultimi dati Onu sono almeno 7 milioni le persone
che hanno urgentemente bisogno di aiuti. Uno dei Paesi più coinvolti dall’ondata di
profughi è la Giordania, dove è stata superata la cifra di un milione di rifugiati
provenienti dalle zone di guerra. Sulla situazione nel Paese, Salvatore Sabatino
ha intervistato mons. Maroun Lahham, vicario patriarcale per la
Giordania del Patriarcato latino di Gerusalemme:
R. - La situazione
è complicata: abbiamo quasi un milione di rifugiati siriani ripartiti nei vari campi
profughi; poi c’è una buona parte che è andata a vivere nelle città, un gruppo di
siriani benestanti che hanno scelto di vivere ad Amman o nelle altre città. Il problema
è di tipo sociale, economico, morale e anche qualche volta politico. Il fatto è che
i profughi siriani che arrivano da noi provengono dal Sud della Siria, cioè da Daraa,
la parte povera della Siria. Quindi si tratta di persone molto povere, che sono venute
senza niente. C’è un altro fattore importante: la Giordania ha sì, aperto le braccia,
perché siamo vicini, siamo fratelli, però la Giordania essendo un piccolo Paese, piuttosto
povero non ha le strutture e le infrastrutture necessarie per ricevere un milione
di profughi. Non dimentichiamo che la Giordania è il quarto Paese più povero di acqua
al mondo.
D. - Però, nonostante le problematiche legate proprio alla povertà
della Giordania, c’è stato un grandissimo senso di solidarietà nei confronti dei siriani
...
R. - Sì, questo è dovuto a due elementi. L’arabo riceve sempre, apre la
sua casa, anche se non ha niente. Poi c’è anche un sentimento religioso, perché il
popolo giordano è per il 97 percento musulmano e i siriani sono quasi tutti musulmani.
Ci saranno forse 200-300 cristiani su un milione. Dunque, c’è anche un senso di solidarietà
islamica; si divide quello che si ha, però fino ad un certo punto, perché poi a lungo
andare la vita, la convivenza diventano pesanti. La Giordania ha ricevuto i profughi
palestinesi nel ’48 e si trovano ancora lì. Nessuno vuole che questa situazione si
ripeta anche per i siriani. Speriamo di no.
D. - Si parla molto spesso di rischio
di regionalizzazione della guerra siriana. Si respira comunque questo pericolo in
Giordania? C’è una preoccupazione reale tra la gente?
R. - C’era una preoccupazione
quando la minaccia militare era vicina. Penso che la giornata di preghiera e di digiuno
di Papa Francesco, seguita in tutto il mondo, abbia fatto un vero miracolo. Fino al
giorno prima parlavano di un attacco imminente e mirato; il giorno dopo cercavano
una soluzione politica. Adesso si respira meglio, alla luce delle riunioni tra i due
ministri degli Esteri - russo e americano - sulle armi chimiche. Questo ci dà almeno
sei o sette mesi di pace relativa, o almeno di minaccia rimandata. Speriamo che arrivino
ad una soluzione politica, perché alla fine sono due anni e mezzo che combattono e
non si sa chi dice la verità e chi dice la menzogna. Non si conosce la realtà! Homs
è da due anni luogo di battaglia; ad Aleppo accade la stessa cosa. Penso, spero e
prego veramente perché una soluzione pacifica sia la conclusione di questo conflitto.