Il card. Scola: "Non c'è niente o nessuno che possa o debba essere estraneo ai cristiani"
Il cardinale Angelo Scola prosegue in questi giorni gli incontri di presentazione
al clero - in programma in tutte le zone pastorali dell’arcidiocesi di Milano - della
sua Lettera pastorale "Il campo è il mondo. Vie da percorrere incontro all'umano".
“Non c’é niente e nessuno che possa o debba essere estraneo ai seguaci di Cristo”
- scrive Scola nel testo - tutto e tutti possiamo incontrare, a tutto e a tutti siamo
invitati". Sulla genesi di questo documento, che trae ispirazione anche dal magistero
di Papa Francesco, Fabio Colagrande ha intervistato lo stesso arcivescovo di
Milano:
R. – Dall’ottobre
dell’anno scorso, il Consiglio episcopale milanese aveva avuto questa idea, perché
ci siamo resi conto di avere delle parrocchie, dei gruppi, dei movimenti molto vitali
che però, facendo molte iniziative, spesso si auto-occupano e invitano troppo poco
i nostri fratelli “uomini” e quindi non sono capaci talora di riprendere l’espressione
di Gesù: “Venite e vedete”, e questo implica un andare loro incontro. E certamente,
però, Papa Francesco ha rimarcato in maniera straordinaria questa necessità. Quindi
noi siamo molto contenti di poter fare eco nella nostra diocesi a tutti i gesti che
lui sta proponendo in questo senso.
D. – Lei invita la Chiesa ambrosiana a
mettersi al lavoro per edificare un nuovo umanesimo: che cosa intende?
R. –
Il primo passo è spiegare in che senso parliamo del “campo che è il mondo”. Il campo,
oggi, è l’articolazione di tutti i luoghi e degli aspetti in cui l’uomo vive, che
sono ultimamente riconducibili alle tre dimensioni comuni a ogni esperienza umana,
che sono quelle degli affetti, del lavoro e del riposo. Da questo punto di vista,
non c’è nessuno lontano, e il Figlio di Dio si è incarnato proprio per essere la via,
cioè per accompagnare gli uomini e le donne nel quotidiano, e la Chiesa cerca di dire,
di proporre come si possano vivere bene, autenticamente questi aspetti quotidiani.
Ovviamente, tutto questo ha poi anche una ricaduta sull’edificazione della città degli
uomini e della vita civile. Il tema del nuovo umanesimo è legato ad una necessità
che è imposta da questa epoca di passaggio. L’epoca moderna si è conclusa e ci troviamo
di fronte a tante schegge che la modernità ci ha lasciato in eredità ma non abbiamo
più un principio sintetico con cui rigenerare una unità a livello della persona e
a livello della società. Allora, a noi sembra che tutti insieme – i cristiani, gli
uomini delle religioni, i non credenti, gli uomini di buona volontà – debbano lavorare
per trovare le vie di questo nuovo umanesimo, valorizzando tutto quello che la società
plurale mette in campo. E i cristiani vogliono dare, in questo, il loro contributo:
non una pretesa di egemonia, ma la proposta di come vedono la giustizia, la vita buona,
di come vedono il buon governo e vogliono trovare soprattutto, a partire dall’Europa
che ne ha un grande bisogno, una proposta di umanesimo nuovo.
D. – Lei fa un
invito anche molto forte ai credenti, a non assumere più un atteggiamento difensivo,
dietro a dei bastioni, o a non creare più recinti separati: cosa intende?
R.
– Intendo dire che il grande lavoro che la Chiesa ha fatto dopo la Seconda Guerra
mondiale, soprattutto dopo il Concilio, di abbattere i bastioni, di non considerare
le comunità cristiane di varia natura come delle cittadelle, è in parte stato realizzato;
ma abbiamo ancora dei bastioni di natura mentale. Per esempio, una certa concezione
dei lontani: non c’è nessun lontano dall’esperienza elementare della vita degli uomini.
Ogni giorno gli uomini hanno a che fare con gli affetti, con il lavoro, con il riposo.
E quindi, abbiamo subito un terreno per comunicare con loro, per parlare con loro.
Così come la sensibilità: pensiamo a quanto ha fatto il Magistero in questo campo,
circa l’idea di giustizia sociale, l’idea di una democrazia sostanziale, l’idea della
realizzazione di una solidarietà autentica, l’idea di partire dagli ultimi … Ecco.
Tutto questo va giocato di più dentro la realtà di tutti i giorni.
D. – “Non
c’è niente – lei scrive – che possa o debba essere estraneo ai seguaci di Cristo”:
ovviamente, parliamo anche dell’impegno in campo politico …
R. – La politica
non può essere realpolitik: c’è una base di realismo che bisogna sempre avere, però
senza una forte visione ideale – e qui ritorna il tema del nuovo umanesimo – è impossibile
proporre una politica che abbia respiro; e se una politica non ha respiro, non convince
il popolo. E quando ci sono le prove, come in quest’epoca gravissima di travaglio
e di contraddizione, la delusione del popolo – oltre ad essere un elemento di ingiustizia
e di tristezza – può assumere anche toni pericolosi.