Strage a Washington: si riapre il dibattito sulla vendita delle armi
Negli Stati Uniti ancora una strage dovuta al possesso di armi da parte di privati
cittadini. Un killer ieri è entrato sparando nel Navy Yard, un quartier generale della
Marina americana a Washington, uccidendo 12 persone e ferendone una decina. Al vaglio
delle indagini i motivi che hanno spinto l’uomo, a sua volta ucciso dalla polizia,
a commettere il folle gesto. Si tratta di un contrattista afroamericano del Texas,
che aveva lavorato nella Marina Militare dal 2007 al 2011, di cui era rimasto consulente
informatico. Il massacro riapre drammaticamente il dibattito sul controllo delle armi
negli Stati Uniti, che già il presidente Obama aveva cercato di limitare con una legge
rimasta bloccata in Parlamento. Giancarlo La Vella ne ha parlato con Fernando
Fasce, docente di Storia americana all’Università di Genova:
R. - Questa
è una delle principali contraddizioni di un grande Paese come gli Stati Uniti: una
liberaldemocrazia con grande tradizione, che si porta dietro però questa macchia molto
pesante, che è la diffusione delle armi, che è la convinzione diffusa - da alcuni
settori economici, politici e culturali del Paese - che continua ad esserci sull’assoluto
diritto e, per certi versi, bisogno di portare delle armi. Il che vuol dire, poi,
spesso drammaticamente, usarle.
D. - Più motivazioni economiche o politiche
dietro questa situazione?
R. - Io direi che ci sono equamente distribuiti interessi
economici, la produzione di armi; ci sono interessi politici, ci sono segmenti della
destra che alimentano l’attenzione e l’interesse delle armi; e poi ci sono interessi
culturali, in qualche modo legati a quelli politici: strati cioè della popolazione
che sono fortemente legati al principio della caccia, al principio del fatto di avere
diritto ad usare le proprie armi come autodifesa del cittadino. Quindi è un intreccio
di questi tre elementi.
D. - Secondo lei, il presidente Obama riuscirà a ritornare
sull’argomento e in qualche modo a modificare la norma che prevede, appunto, il libero
utilizzo delle armi?
R. - E’ difficile a dirsi, perché - come sappiamo - il
presidente Obama è in tutt’altre faccende affaccendato, prima di tutto in questioni
internazionali. Quindi non sarà facile. Credo però che sia un passaggio assolutamente
necessario, perché anche il fatto che questa vicenda sia scoppiata in una base della
Marina dice che c’è un ethos, che c’è un modo di intendere le cose - che sta fra il
civile e il militare - che va riformato gli Stati Uniti e probabilmente non solo là.