Papa Francesco al clero romano: alla Chiesa serve conversione pastorale e coraggiosa
creatività
Anche ora che sono Papa, mi sento un sacerdote. E’ uno dei passaggi chiave del dialogo
che Papa Francesco ha avuto ieri mattina, con i sacerdoti della diocesi di Roma, la
sua diocesi. Il Papa ha incontrato il clero romano nella Basilica di San Giovanni
Laterano assieme al cardinale vicario Agostino Vallini. Il servizio di Alessandro
Gisotti:
Cos’è la fatica
per un sacerdote, per un vescovo anche per il vescovo di Roma? Papa Francesco ha svolto
il suo intervento introduttivo - nell’incontro con il clero romano -soffermandosi
su questo interrogativo. Ed ha confidato che l’ispirazione gli è venuta dopo aver
letto, nei giorni scorsi, una lettera che gli aveva scritto un sacerdote anziano che
proprio gli parlava della fatica, “una fatica nel cuore”. C’è, ha detto il Papa, una
“fatica del lavoro” e quella “la conosciamo tutti”. Arriviamo alla sera, “stanchi
di lavorare e passiamo davanti al Tabernacolo” per salutare il Signore. Sempre, ha
avvertito, bisogna passare dal Tabernacolo:
“Quando un prete è in contatto
con il suo popolo, si fatica. Quando un prete non è in contatto
con il suo popolo, si fatica, ma male e per addormentarsi deve prendere una pastiglia,
no? Invece, quello che è in contatto con il popolo, ché davvero il popolo ha tante
esigenze, tante esigenze! – ma sono le esigenze di Dio, no?, quello fatica sul serio,
eh?, e non sono necessarie le pastiglie”.
C’è però una “fatica finale”,
ha proseguito, che si vede “prima del tramonto della vita” dove “c’è la luce buia
e il buio un po’ luminoso”. E’, ha osservato, “una fatica che viene nel momento in
cui dovrebbe esserci il trionfo” e invece “viene questa fatica”. Questo, ha detto,
succede quando “il prete si interroga sulla sua esistenza, guarda indietro” al cammino
fatto e pensa alle rinunce, ai figli che non ha avuto e si chiede se ha sbagliato,
se la sua vita “è fallita”. E’ proprio la “fatica del cuore” di cui il sacerdote scriveva
nella lettera. Il Papa ha così citato la fatica di tante figure nella Bibbia, da Elia
a Mosè, da Geremia fino a Giovanni Battista. Quest’ultimo, ha affermato, nel “buio
del carcere” vive “il buio della sua anima”, e manda i suoi discepoli a chiedere a
Gesù se è davvero Colui che stanno aspettando. Cosa può fare dunque un sacerdote che
viva l’esperienza del Battista: pregare, “fino ad addormentarsi davanti al Tabernacolo,
ma stare lì”. E poi “cercare la vicinanza con gli altri preti” e soprattutto con i
vescovi:
“Noi vescovi dobbiamo essere vicini ai preti, dobbiamo fare la
carità al prossimo, e i più prossimi sono i preti. I più prossimi del vescovo sono
i preti. [applausi] Vale anche al contrario, eh? [ridono, applausi]: il più prossimo
dei preti dev’essere il vescovo: il più prossimo. La carità al prossimo, il più prossimo
è il mio vescovo. Il vescovo dice: i più prossimi sono i miei preti. E’ bello questo
scambio, no? Questo credo che sia il momento più importante di vicinanza, tra vescovo
e preti: questo momento senza parole, perché non ci sono parole per questa fatica”.
E’,
quindi, iniziato il dialogo con i sacerdoti della sua diocesi di Roma, ai quali il
Papa ha detto di sentirsi liberi di chiedere qualunque cosa. Rispondendo alla prima
domanda, Papa Francesco ha detto che, nel servizio pastorale, non bisogna “confondere
la creatività con fare qualcosa di nuovo”. La creatività, ha detto,
è “cercare la strada perché il Vangelo sia annunciato” e questo “non è facile”. Creatività,
ha ribadito, “non è soltanto cambiare le cose”. E’ un’altra cosa, “viene dallo Spirito
e si fa con la preghiera e si fa parlando con i fedeli, con la gente”. Il Papa ha
quindi rammentato un’esperienza vissuta quando era arcivescovo di Buenos Aires. Con
un sacerdote, ha detto, si cercava di capire come poter rendere la sua chiesa più
accogliente:
“Ah, se passa tanta gente, forse sarebbe bello che la chiesa
fosse aperta tutta la giornata … Bella idea! Anche sarebbe bello che ci fosse sempre
un confessore a disposizione, lì … Bella idea! E così è andato”.
Questa,
ha detto, è una coraggiosa creatività. Anche sui corsi pre-battesimali, ha
aggiunto, bisogna superare l’ostacolo dei papà e delle mamme che lavorano tutta la
settimana e la domenica vorrebbe riposarsi. E allora bisogna “cercare strade nuove”
come una “missione nel quartiere” promossa dai laici. E questa è “la conversione
pastorale”. La Chiesa, “anche il Codice di diritto canonico – ha soggiunto – ci
dà tante, tante possibilità, tanta libertà per cercare queste cose”. Bisogna, ha ribadito,
“cercare i momenti di accoglienza, quando i fedeli devono andare in parrocchia per
una cosa o un’altra”. E ha criticato severamente chi, in una parrocchia, è più preoccupato
a chiedere soldi per un certificato che al Sacramento e così “allontana la gente”.
Serve, invece, l’“accoglienza cordiale”: “che quello che viene in chiesa si senta
a casa sua. Si senta bene. Che non senta che è sfruttato”.
“Un prete, una
volta – non della mia diocesi, di un’altra diocesi – mi diceva: ‘Ma, io non faccio
pagare niente, neppure le intenzioni delle Messe. Ho lì una scatola, e loro lasciano
lì quello che vogliono. Ma, Padre: ho quasi il doppio di quello che avevo prima! Perché
la gente è generosa, e Dio benedice queste cose’.
Se, invece, “la gente
vede che c’è un interesse economico” allora “si allontana”. Il Papa ha quindi risposto
a chi gli domandava come si definisse ora visto che, da arcivescovo di Buenos Aires,
amava definirsi semplicemente come “sacerdote”:
“Ma, io mi sento prete,
davvero. Io mi sento prete, sacerdote, davvero, vescovo … Mi sento così, no? E ringrazio
il Signore per questo. [applausi] Avrei paura di sentirmi un po’ più importante, no?,
quello sì: ho paura di quello, perché il diavolo è furbo, eh?, è furbo, e ti fa sentire
che adesso tu hai potere, che tu puoi fare quello, che tu puoi fare quell’altro …
ma sempre ci gira, ci gira, come un leone – così dice San Pietro, no? Ma grazie a
Dio, quello non lo ho perso, ancora, no? E se voi vedete che una volta l’ho perso,
per favore, ditemelo, ditemelo, e se non potete dirlo privatamente, ditelo pubblicamente,
ma ditelo: ‘Guarda, convertiti!’, perché è chiaro, no? [applausi]
Si è
poi soffermato sui preti “misericordiosi”. Un prete innamorato, ha detto, deve sempre
fare memoria del primo amore, di Gesù, “tornare a quella fedeltà che rimane sempre
e ci aspetta”. Per me, questo “è il punto-chiave di un prete innamorato: che abbia
la capacità di tornare con la memoria al primo amore”. E ha aggiunto: “Una Chiesa
che perde la memoria, è una Chiesa elettronica: non ha vita”. Quindi, ha detto che
bisogna guardarsi dai preti rigoristi e lassisti. Il prete misericordioso, ha affermato,
è quello che dice la verità, ma aggiunge: “Non spaventarti, il Dio buono ci aspetta.
Andiamo insieme”. Questo, ha soggiunto, “dobbiamo averlo sempre sotto gli occhi: accompagnare.
Essere compagni di strada”. La conversione “sempre si fa così – ha detto – in strada,
non in laboratorio”.
“La verità di Dio è questa verità, diciamo così dogmatica,
per dire una parola, o morale, ma accompagnata dall’amore e dalla
pazienza di Dio. Sempre così”.
E ancora, ha detto, nella Chiesa ci sono
certo gli scandali ma anche tanta santità e questa è più grande. E c’è anche, ha proseguito,
la “santità quotidiana”, nascosta, “quella santità di tante mamme e di tante donne,
di tanti uomini che lavorano tutto il giorno per la famiglia”. Parole corredate da
un’incoraggiante convinzione:
“Io oso dire che la Chiesa mai è stata tanto
bene come oggi. La Chiesa non crolla: sono sicuro, sono sicuro!”
Il Papa
è, quindi, tornato sul tema delle periferie esistenziali, ribadendo le sue parole
sui “conventi vuoti” e la generosità verso i bisognosi. Si è infine soffermato sul
tema della famiglia, e in particolare sulla delicata questione della nullità dei matrimoni
e sulle seconde unioni. Un problema, ha rammentato, che Benedetto XVI “aveva a cuore”.
“Il problema – ha detto – non si può ridurre soltanto” se si possa “fare la comunione
o no, perché chi pone il problema soltanto in quei termini non capisce qual è il vero
problema”. E’ un “problema grave”, ha aggiunto, “di responsabilità della Chiesa nei
riguardi delle famiglie che vivono in questa situazione”. La Chiesa, ha affermato
ancora, “in questo momento deve fare qualcosa per risolvere i problemi delle nullità”
matrimoniali. Un tema - ha detto, riprendendo quanto già accennato nella conferenza
stampa in aereo rientrando da Rio de Janeiro - di cui parlerà con il gruppo degli
otto cardinali che si riuniscono i primi giorni di ottobre in Vaticano. E ancora,
ha aggiunto Papa Francesco, se ne parlerà nel prossimo Sinodo dei vescovi sul "rapporto
antropologico" del Vangelo con la persona e la famiglia, in modo che “sinodalmente
si studi questo problema. “Questa - ha detto - è una vera periferia esistenziale”.
Infine, in un clima di grande cordialità, Papa Francesco ha ricordato che il prossimo
21 settembre ricorre il 60.mo anniversario della sua vocazione al sacerdozio.