Iraq. Il patriarca Sako: la violenza nel Paese legata alla crisi in Siria
Non si ferma l’ondata di attentati in Iraq. Altre sette persone sono rimaste uccise
ieri e 20 ferite in diverse azioni alla periferia di Baghdad, dopo che domenica scorsa
almeno 17 esplosioni con autobomba avevano causato una cinquantina di vittime nella
capitale e nella parte meridionale del Paese, in particolare nella città a maggioranza
sciita di Hilla. Non sono al momento arrivate rivendicazioni agli attacchi, ma le
violenze sembrano inquadrarsi nelle sanguinose tensioni in corso tra sunniti e sciiti.
Per una testimonianza sulla situazione, Giada Aquilino ha intervistato l’arcivescovo
Louis Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei:
R. – Tutto
ciò serve a creare confusione, mantenendo questi conflitti sempre accesi contro un’iniziativa
di riconciliazione che sembra molto difficile e molto complicata. Tutto è collegato
alla situazione regionale in Siria ed in Egitto. E sembra purtroppo esserci un conflitto
“confessionale”.
D. – Più di quattromila morti dall’inizio di aprile: 800 soltanto
ad agosto. In generale, qual è la situazione oggi in Iraq?
R. – C’è una tensione
molto forte e la gente ha paura. Prima il sud era tranquillo, invece ieri è stata
colpita proprio quella parte del Paese, in una zona sciita. Talvolta le tensioni avvengono
tra gli sciiti, altre volte tra i sunniti.
D. – Com’è possibile arginare tanta
violenza?
R. – E’ molto complicato perché ci sono Paesi che non vogliono la
cosiddetta “Primavera araba”, la democrazia, la libertà: è un pericolo per loro. Quindi
è nel loro interesse mantenere tali conflitti. Forse poi c’è una strategia per dividere
il Medio Oriente in Paesi “confessionali”.
D. – La comunità cristiana come
vive queste ore?
R. – La comunità ha paura e non sa dove andare. Non ci sono
segnali di sicurezza né per i cristiani, né per tutti gli altri.
D. – Lei ha
detto che la situazione in Iraq è legata a ciò che sta succedendo in Siria ed in altri
Paesi vicini. Papa Francesco, anche recentemente, ha pregato per l’Iraq affinché la
violenza settaria lasci il passo alla riconciliazione. Secondo lei a questo punto
cosa può succedere?
R. – La gente ed anche i politici sono coscienti che l’intervento
militare o la guerra non aiutano. La guerra è sempre portatrice di morte e distruzione.
Dunque, non c’è altra scelta se non il dialogo e la pace. L’accordo tra americani
e russi (sulle armi chimiche siriane, ndr) penso sia un successo e tutti hanno apprezzato
questa iniziativa non militare.
D. – Sull’esempio della veglia di preghiera
e di digiuno voluta dal Papa, ci sono anche delle iniziative particolari della Chiesa
di Iraq per la pace?
R. – Anche noi, nelle nostre Chiese, abbiamo digiunato
e pregato, celebrando Messe in tutto il Paese. Pure i musulmani hanno pregato per
la pace, perché è un’esigenza di tutti. Sono convinto che il dialogo sia possibile.
Senza dialogo non c’è vita, non c’è convivenza; anche la maggioranza dei musulmani
è aperta al dialogo. Ne sono pienamente convinto. Ci sono i fondamentalisti, per cui
tutto è politicizzato, ma ci sono anche capi religiosi aperti al dialogo. Penso inoltre
che cristiani e musulmani debbano cercare un linguaggio più comprensibile per esprimere
la loro fede, per dire che noi crediamo in un solo Dio, che è Creatore, che è Padre,
che è misericordioso.